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cultura
Enrico Ibsen
di Giuseppe La Rosa

Enrico IBSEN
(1828 - Norvegia - 1906)

Alcuni decenni prima che in piazza scendessero gli esistenzialisti, Ibsen ne anticipò l'idea principale : la vita è assurda.

L'uomo, per quanto lotti ostinatamente per realizzare la sua essenza, fallisce sempre e penosamente. Ogni tentativo, ogni passo per avanzare è un fiasco totale.

Nasce da una famiglia borghese protestante. A ventidue anni si dedicherà definitivamente al teatro, componendo varie opere. Risentito per la tiepida accoglienza per i suoi lavori, se ne va dal suo paese dove vi tornerà qualche anno prima di morirvi.

Vediamo l'affresco che Ibsen fa dell'uomo.
Il nostro, comincia col guardarsi intorno, e constata che la vita è impastata di male, innestata nel male, un male talmente attecchito che è inestirpabile.
Tu ti sforzi, ma quando lo cancellerai ? Mai. Ecco da dove nasce la paura, l'ansia, l'angoscia. E' tutto fermo e acquitrinoso nel fondo del cuore d'ogni uomo.
L'uomo, in viaggio per la vita, finisce in un vicolo scuro, e quindi si arena e soffoca.
Questa è la sua condizione reale, l'unica che riesce a vedere, e quindi quella è il suo paradiso, la sua miseria, la sua menzogna.

Ecco il quadro : l'uomo debole e pieno di tentazioni, credulone, mediocre, insincero nell'amore, sostenitore di una vita piatta e comoda, rinunciatario degli ideali giovanili, convinto di cambiare un mondo che si rivelerà essere, invece, una tragica illusione che si scontra con la morte.

L'umanità di Ibsen à malata, soffre, più nello spirito che nel corpo, del carico della colpa e dei vizi degli avi. La malattia di cui maggiormente soffre è la menzogna. E' così universale ed estesa a tutte le classi che per trovare un pizzico di verità quasi quasi bisogna rivolgersi ai bambini e ai pazzi.
La vita degli uomini è tutta un camposanto di anime, prima che di corpi. Gli attori della storia sono dei morti, ma non lo sanno. La stragrande maggioranza vive fuori di sé, divorata dagli istinti e illusi da una libertà incosciente e irresponsabile.

Ibsen si domanda : qual è la causa di tutto questo ?

La "superstizione religiosa" e la poltroneria della massa che si adagia sullo strame di decrepite e decadute istituzioni sociali.

E allora, cosa fare per edificare ?
Distruggere, abbattere tutto (credenze religiose e istituzioni politiche).

Avanza, così, l'eroe ibseniano : bramosamente proteso verso lo straordinario, l'intenso, il sublime, l'inconseguibile, che disprezza i beni del mondo, odia i compromessi e i mezzi termini, detesta la vita mediocre e apatica dei più.

Sembrerebbe che alla fine del suo percorso intellettuale abbia visto in Dio l'ultima spiaggia della vita. Si intravede e si percepisce, nei suoi scritti finali, un desiderio di ancoraggio a Dio. Dopo aver cercato la salvezza ovunque, Ibsen si rende conto che la può ottenere esclusivamente da Dio.

Beh, e' un augurio di vittoria e di resurrezione morale anche per gli uomini del nostro tempo e della nostra vacillante civiltà.

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