arte e mostre
il disegno di Roberto Melli
di Michele De Luca

"Se sei cresciuto a Ferrara, come Roberto Melli, il disegno ti appartiene. E se hai una doppia vocazione, quella di scultore e di pittore insieme, la matita è un elemento che piò fungere da tramite tra questi due aspetti fell'attività artistica"; sono parole tratte dall'ntenso e stimolante testo di Lea Mattarella, che ci introducono alla mostra "Roberto Melli. Disegni e sculture", da lei stessa curata, che viene presentata nel Museo Pericle Fazzini di Assisi, che ha sede nei suggestivi spazi dell'antico Palazzo del Capitano del Perdono che costeggia la Basilica di Santa Maria degli Angeli. Continuando il programma curato da Giuseppe Appella che vuole mettere in luce il mondo ruotante intorno al maestro marchigiano, negli anni romani tra il 1930 e il 1980, la mostra (accompagnata da un catalogo edito da De Luca nella collana "Laboratorio") comprende tre sculture datate 1906-1907, cinquanta disegni che coprono tutta l'attività dell'artista ferrarese, due xilografie del 1906 preparate per "Ebe", taccuini di appunti, vari bozzetti per pubblicità, copertine di libri, medaglie, cornici e mobili, un ricco apparato di immagini e documenti, in massima parte inediti.

L'artista ferrarese ha avuto una parte considerevole nella crescita dell'arte contemporanea, non solo italiana. Pittore e scultore, ha partecipato fin dagli inizi del secolo ai movimenti rinnovatori. La sua figura, però, è sempre rimasta un po' in disparte, e ciò per vari motivi: il suo allontanamento dalla vita attiva durante il periodo delle persecuzioni razziali; il difficile assestamento del dopoguerra, con l'avvento delle nuove generazioni; la natura stessa dell'uomo: cordiale, aperto, umanamente impegnato nei fatti della cultura e dell'arte ma schivo e fondamentalmente solitario. Il motivo più importante, comunque, è da cercarsi nel carattere della sua arte: la sua ritrosa sensibilità, un vivo senso critico, l'inclinazione ad accogliere prontamente ogni stimolo intellettuale che sollecitasse la sua attenzione di uomo colto, indirizzato alla ricerca di un equilibrio ideale, la sua capacità di critica, la sua cultura moderna, aperta ad ogni sollecitazione di rinnovamento. Dunque, anche se aperto a tutte le innovazioni, le più ardite e spregiudicate, Melli le ha sempre sottoposte ad una meditata valutazione critica, accogliendo illuminazioni e impulsi preziosi, ma rimanendo fedele alla sua vocazione personale.

Melli nasce nel 1885 a Ferrara. Tra i suoi maestri, il pittore Nicola Laurenti e lo scultore Arrigo Minerbi. Nel 1902 si trasferisce con la madre a Genova iniziando a lavorare come apprendista presso un intagliatore in legno e realizzando le prime xilografie; è a Genova, inoltre, che nel 1910 tiene la sua prima mostra personale. Le tre sculture esposte si riferiscono a questo periodo, il momento iniziale della sua ricerca plastica. Si vede subito, nella cera che a fianco allinea i disegni preparatori, come abbia capito il lavoro di Medardo Rosso, il solo capace di risolvere in scultura il problema illuministico dell'impressionismo. Nelle due terrecotte, invece, appare chiara l'idea del monumento cimiteriale, la struttura tesa a sfruttare l'idea della scultura romana come cippo alla memoria.

Nel 1911 è a Roma. L'ambiente romano risente di un clima stagnante, tutto rinascimento, decorazioni e retorica. Attraverso Giacomo Balla, Modigliani e Severini, arrivava qualche eco di ciò che era avvenuto e stava avvenendo fuori dall'Italia. Melli ne sente subito i fermenti. Con Modigliani, Gino Rossi, Umberto Boccioni e il gruppo dei futuristi, è tra gli artisti che più si rende conto dell'urgenza di un rinnovamento. Pur rimanendo in Italia, a Melli basta uno spunto, un'illuminazione che gli venga dalla riproduzione di un quadro di Cézanne o dalle notizie delle imprese dei "fauves" e dei cubisti per essere stimolato a cercare nuove vie. Aderisce alla "Secessione romana", ad opera di una trentina di artisti pronti ad uscire dalla Società degli Amatori e Cultori accusata di non essere in grado di coagulare intorno alla città di Roma le presenze internazionali necessarie per produrre un autentico rinnovamento delle arti. Nel 1918 è tra i fondatori della rivista "Valori Plastici" insieme a Mario Broglio, Carrà, De Chirico e Morandi. "Valori Plastici" svolge un'importante funzione di aggiornamento sulle esperienze artistiche europee, dal cubismo all'astrattismo fino al neoplasticismo. Nel contempo, dà spazio a collaboratori rivolti al recupero della tradizione. Melli non ne condivide l'orientamento verso il ritorno all'ordine sostenuto dalla politica culturale del regime fascista e, qualche anno dopo, dal cosiddetto "Novecento".

Nel corso degli anni Venti l'artista segue varie strade, occupandosi anche di cinematografia e cartellonistica. Solo all'inizio degli anni Trenta si riavvicina all'ambiente artistico romano, riprende a interessarsi di arti figurative, dapprima in veste di critico e poi anche come pittore. Nel 1933 insieme ai pittori Emanuele Cavalli e Giuseppe Capogrossi sottoscrive il "Manifesto del Primordialismo Plastico" che attribuisce al colore valore assoluto nella resa architettonica del dipinto e nell'essenzialità delle forme. In questi anni e nel pieno della sua maturità artistica, Melli viene considerato un maestro dai giovani pittori romani. Muore a Roma il 4 gennaio del 1958: con lui, come scriverà Valerio Mariani, scompare un "esempio assai raro, e per questo più ammirevole, d'un artista che seppe sacrificare tanta parte della sua fervida ed operosa vita per l'ideale d'una più degna considerazione degli artisti nel mondo e d'una superiore valutazione dell'arte nella vita moderna". Nello stesso anno la Galleria Nazionale d'Arte Moderna gli dedicherà una grande mostra antologica.