arte e mostre
sculture a Matera
di Michele De Luca

“La sola parola ‘scultura’ mi riempie d’una paura quasi religiosa”; e ancora: “amo molto le figure umane, perché possono dare più di ogni altra cosa l’idea del movimento”. Sono parole della grande artista Antonietta Raphaël (Kowno, Lituania, 1895 – Roma 1975) che viene rievocata con un’ importante mostra antologica allestita nelle chiese rupestri della Madonna delle Virtù e di San Nicola dei Greci e nelle sale del Circolo La Scaletta a Matera, che potrà essere visitata fino al 30 settembre. Come ogni estate, grazie all’impegno, appunto, del Circolo La Scaletta, la grande scultura torna a dialogare con gli incomparabili spazi dei Sassi materani: dal 1978 continua, infatti, il ciclo di esposizioni (Pietro Consagra, Fausto Melotti, Arturo Martini, Duilio Cambellotti, Andrea Cascella, Pericle Fazzini, Sebastian Matta, Umberto Milani, Libero Andreotti, Stanislav Kolibal, Mario Negri, Leoncillo, Periplo della Scultura Italiana Contemporanea 1 e 2, Scultura in America, Scultura in Francia, Vanni Scheiwiller e la scultura) tese ad indagare nelle vicende più importanti, spesso non opportunamente considerate, della ricerca espressiva del secolo appena trascorso.

La mostra, curata da Giuseppe Appella, Fabrizio D’Amico e Netta Vespignani, comprende 128 opere (77 sculture datate 1933–1968 e 45 disegni datati 1911-1974, provenienti dalla famiglia Mafai e da importanti collezioni pubbliche e private, rintracciate con la collaborazione dell’Archivio della Scuola Romana) che coprono l’intero percorso creativo di Antonietta Raphaël scultrice, una sorta di affascinante viaggio dall’arcaismo iniziale al libero dominio della forma. E’ noto, infatti, l’impegno dell’artista in pittura, fin dal 1925, anno in cui, con il suo compagno Mario Mafai, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma dove era arrivata l’anno prima; alla scultura la Raphaël dedicò in realtà – come la mostra di Matera ci racconta – buona parte degli anni della maturità con una piena ripresa dell’attività di pittrice solo alla fine degli anni Cinquanta; mentre centrale rimane lungo tutto l’arco della sua copiosa produzione, rimane il disegno; come ci dice infatti Giuseppe Appella, “l’incontro fra i due mezzi espressivi, i rapporti interagenti di un carattere scapigliato, eversivo, nell’ambito della cultura romana nella quale si era calata da Parigi, è proprio il disegno a coniugarli, insieme al diario che con tenace perseveranza va stendendo fin dai primi anni della sua vita”.

Figlia del rabbino Simone, l’artista lituana, dopo soggiorni a Londra, Parigi e Nizza, giunge a Roma nel 1924; l’anno successivo si unisce a Mafai, con il quale avrà tre figlie. Insieme allo stesso Mafai, a Scipione e Mazzacurati costituisce il sodalizio “di Via Cavour”, così battezzato da Roberto Longhi; nel 1929 espone per la prima volta alla Mostra del Sindacato Fascista degli Artisti al Palazzo delle Esposizioni di Roma. La sua intensa attività creativa ed espositiva continua nel decennio successivo; tra il 1939 e il 1943, per sottrarsi alle discriminazioni razziali, si trasferisce a Genova, per fare poi rientro a Roma ed iniziare una lunga serie di importanti esposizioni alla Quadriennale romana e alla Biennale di Venezia, ottenendo ormai, anche all’estero, un largo consenso critico (nel ’52 Valentino Martinelli sulla rivista “Commentari” – come ricorda Fabrizio D’Amico – dedica alla Raphaël il primo vero studio filologicamente attento e criticamente esaustivo.

La mostra si apre con la dolcissima Miryam che dorme, del 1933, l’anno in cui muore Scipione, e si chiude con Salomè, del 1968, dagli esordi al momento in cui, lasciata in fonderia la Grande Genesi n.4, la salute comincia a vacillare e l’unico sollievo alla solitudine è il disegno, la litografia nella stamperia Bulla e l’acquaforte. Il Ritratto della prima figlia che, nel 1933, ha sette anni, oltre che focalizzare un tema, quello degli affetti familiari (il marito Mario Mafai, le altre due figlie: Simona e Giulia, gli amici Guttuso e Fazzini) ai quali dedicherà approfondite analisi formali e psicologiche, mette in luce la specificità di un linguaggio che ha saputo leggere dal vivo, senza farsi fuorviare, nelle ricerche di Maillol e di Rodin per dare della realtà un aspetto quotidiano ma eterno, mai scisso da quella religiosità dell’esistenza in cui era cresciuta, e per cogliere quell’attimo di poesia che illumina all’improvviso i volti dei suoi modelli. In queste sculture (tra cui Mafai con il gatto (1932), La fuga (1958) e Leda con il cigno (1962-1966), come in altre come Niobe (1948) o Asiatica (1959), si scorge l’influenza dell’intensa e lunga frequentazione con maestri come Arturo Martini, Fazzini e Manzù (da lei ritratto in un delizioso disegno presente in mostra).

Nel 1949 Libero De Libero scriveva: “Antonietta è l’unica donna al mondo da considerare come un geniale scultore”; questa ricca antologica dà la possibilità di una suggestiva rivisitazione (grazie all’allestimento in questi spazi unici al mondo curato da Alberto Zanmatti) dell’opera scultorea della Raphaël (con il delizioso contrappunto dei disegni), che viene così autorevolmente riproposta all’attenzione del grande pubblico e della critica. Con l’ausilio di un bel catalogo realizzato con la consueta puntualità ed eleganza dalle Edizioni della Cometa, che oltre ai saggi dei curatori e ad uno scrupoloso apparato bio-bibliografico, contiene un contributo di Marzio Pinottini dedicato alla memoria di Vanni Scheiwiller, grande estimatore dell’artista lituana e immancabilmente attento all’appuntamento estivo di Matera con la grande scultura italiana ed internazionale.