copertina Cosa avvenne nel remoto passato in quel territorio dell’Italia centrale che oggi chiamiamo Maremma, o anche Tuscia, lì dove fiorì la civiltà etrusca e dove, prima ancora, altre civiltà e culture si erano insediate durante l’arco di diversi millenni? Quali eventi storici portarono alla nascita di una civiltà preistorica, poi della civiltà etrusca, di quella romana e infine del primo Cristianesimo? Se ne parlerà giovedì 5 marzo, alle ore 17.30, presso la "Sala Rosa" di Viterbo Sotterranea, in P.zza della Morte 1 a Viterbo, con la presentazione del libro “La più antica civiltà d'Italia”, Siti sacri, templi astronomici, opere megalitiche. Origine e diffusione della cultura del Rinaldone, progenitrice della civiltà etrusca di Giovanni Feo e Alberto Conte, Effigi Edizioni. Intervengono Alberto Conti, co-autore e Presidente dell’Ass. Tages, Luca Federici, archivista, Katia Maurelli, consulente editoriale Edizioni Effigi, Tatiana Melaragni, archeologa, Sergio Cesarini, fondatore di Viterbo Sotterranea, Tesori di Etruria. L'iniziativa di Viterbo Sotterranea è a cura dell'Ass. Tages in collaborazione con la Casa Editrice Effigi. L’ngresso è libero. La “cultura di Rinaldone” è oggi a conoscenza solo di pochi specialisti e archeologi. Eppure furono i Rinaldoniani i primi civilizzatori del nostro Paese. Un seme di civiltà che dette inizio a un lungo processo formativo sfociato nella civiltà etrusca, ultima erede dei Rinaldoniani. La loro storia è rimasta scritta sugli enigmatici megaliti tagliati e modellati per fini astronomici e di culto. Per le loro capacità e conoscenze furono chiamati “Giganti”, forse anche in relazione a una statura fisica eccezionale, oltre i 2 metri di altezza. Informazioni su questa dimenticata “civiltà delle origini”, dedotte da recenti indagini archeologiche e mitografiche, consentono una nuova visione delle civiltà dell’Italia antica le cui radici remote sono riscoperte e rivalutate sotto una luce diversa. I Rinaldoniani, definiti anche come il “popolo del mare” o come i Giganti del mare, approdarono sulle coste toscane (Argentario) verso il quinto millennio a. C. , probabilmente provenienti dall’area egeo-anatolica e portarono con sé qualcosa di nuovo e rivoluzionario: l’arte della metallurgia, contribuendo ad uno sviluppo decisivo dell’area mediana e della Tuscia in periodo pre-etrusco. La prima necropoli, venuta alla luce dagli scavi di Luigi Pernier nel 1903, si trova non lontano da Viterbo, (l’etrusca Sur-na) in una località chiamata Rinaldone, da cui deriva il nome dato dagli archeologi a quel popolo. I “Rinaldoniani” furono tra i primi a scavare sepolcri rupestri. Le loro tombe, scolpite nel tufo in forma ovoidale, hanno restituito oggetti in rame, il primo metallo ad essere forgiato. Il lato più affascinante dei Rinaldoniani è sicuramente nella Tuscia, con la rete di siti allineati ed orientati verso la direzione del moto solare (ma in grado di seguire quello lunare) più alcuni templi astronomici, complessi megalitici con fulcro a Poggio Rota, area Insuglietti, area Le Sparne-Poggio Buco, luoghi d’altura con fenditure artificiali utilizzate come puntatori, a riprova della esistenza di un piano ben preciso per la misurazione del tempo ed anche usati per il culto solare ed astrale. L’interessante libro dei ricercatori Giovanni Feo e Alberto Conti dal titolo “La più antica civiltà d’Italia”, edito da Effigi, rappresenta un’ occasione per ripercorrere la storia di questa grande civiltà, ancora poco indagata, ma determinante e addirittura necessaria alla nascita della successiva, misteriosa, civiltà etrusca. “La cultura di Rinaldone durò, secondo i dati archeologici, dal 4000 a.C. al 1900 a.C., per circa due millenni, almeno per quanto riguarda la penisola italiana (ma di sicuro di più antica origine, dato che non nacque in Italia). Eppure, se cerchiamo nei libri di storia dati e notizie, non troviamo che minimi e vaghi accenni a quei due lunghi millenni e alla civiltà che ne fu interprete. Perché questo buco nero di duemila anni? Perché nessuno si è ancora interessato, se non marginalmente, a questa cultura che, considerata la sua longeva durata, può a buon diritto ritenersi l’origine dei nostri più antichi progenitori conosciuti? Non è cosa da poco, visto che si tratta delle origini dell’antica civiltà italiana. Conoscere le origini significa portare alla luce una parte non secondaria dell’anima collettiva di un popolo. Sorge un dubbio, ovvero che non si tratti solo di dimenticanza, o di ritardo negli studi e nelle ricerche, ma di una porta che non si è voluta aprire, privilegiando il panorama storico del mondo romano, con i suoi macroscopici scenari di guerre, conquiste e fasti imperiali”. “Ma per fare Roma – sottolineano nel libro Alberto Conti e Giovanni Feo – ci vollero in primis gli Etruschi, diretti eredi della cultura dell’età del Bronzo (“Appenninici” e “Villanoviani”) che, a sua volta, derivava dalla cultura dell’età del Rame i cui fondatori furono proprio i Rinaldoniani. Questa linea di continuità storica è fondamentale per comprendere le reali origini dell’Italia antica”. Una continuità storica che, per i due ricercatori, può anche spiegare perché il Cristianesimo, la religione di tutto l’Occidente moderno, trovò il suo epicentro geografico proprio in Roma, nella stessa regione dove Etruschi, Villanoviani e “popoli del mare” avevano vissuto per un arco temporale di ben quattro millenni. I Rinaldoniani, un popolo presente su tutta l’area centrale e tirrenica d’Italia, spingendosi fino alla Campania, alla Toscana ed alle Marche, sono stati gli antenati con solo degli Etruschi, ma anche dei Piceni. Ristabilire la verità storica è restituire dignità alle popolazioni pre-romane, dai Rinaldoniani, agli Umbri, ai Piceni, ai Pelasgi, ai Sabini, agli Etruschi ed è senz’altro la vera finalità dell’affascinante libro, che, con dovizia scientifica, punta il dito contro la manipolazione storica e la chiusura da parte del mondo accademico, tuttora colpevole di una visione “romanocentrica” in grado di cancellare secoli di storia, perché poi furono questi popoli, e non Roma, a forgiare la storia antica. Recuperare una continuità di narrazione e comprensione potrebbe invece aiutarci a ricostruire un apprezzabile e credibile panorama delle mitiche origini del nostro Paese, un Paese che ha smarrito la sua anima, la sua autentica identità, la sola (evidenziano Giovanni Feo ed Alberto Conti) che possa riunire e stimolare verso nuovi percorsi le sue genti. Effettivamente la svalutazione del nostro patrimonio più autentico è sotto gli occhi di tutti: nel Centro Italia i siti archeologici tufacei, considerati minori, ossia non romani, (che siano rinaldoniani, etruschi, falisci, od altro), rimangono spesso in uno stato d’avanzato degrado e abbandono, senza serietà d’intenti per quanto riguarda studi, ricerche, tutela e valorizzazione da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e relative soprintendenze. Cosa ancor più grave è che, nell’Etruria Meridionale, molti siti scavati nel tufo stanno scomparendo, giorno dopo giorno, sotto gli occhi degli “addetti ai lavori ministeriali” come quasi ad ignorarne l’esistenza.
articolo pubblicato il: 29/02/2020 |