editoriale
andare a Bagdad?
di Ada

Tutto è ancora molto fluido. E' molto probabile che anche il mese di marzo di questo sgradevole anno sia ricordato nella storia della politica internazionale come quello delle scelte più difficili da parte dei governanti USA. Andranno a Bagdad da soli oppure otterranno il "conforto" dell'ONU? Al momento la prima ipotesi sembra la più probabile anche se le pressioni diplomatiche americane sono fortissime nei confronti di Mosca e di Pechino perché non pongano il veto sulla proposta di una nuova e pesante risoluzione del consiglio di sicurezza. Un compito molto difficile allo stato delle cose, anche perché Russia e Cina non possono mostrarsi più concilianti della stessa Francia che non recede dalla sua posizione antiamericana che ormai é considerata il fatto nuovo nello scacchiere politico e diplomatico mondiale.

In ogni modo la si valuti non ci sono dubbi che i punti di vista di Parigi trovino ampio seguito nell'opinione pubblica di quasi tutti i Paesi europei, ma il problema non è solo quello di sapere chi uscirà vittorioso da questo braccio di ferro fra ex alleati (ora si può ben dirlo), ma di chiedersi come sarà il mondo occidentale alla fine di tutta questa vicenda mediorientale. Probabilmente sempre più diviso, ancora di più in pericolo, sicuramente più fragile e indeciso nei confronti del terrorismo islamico o politico-ideologico, molto più incerto su una soluzione giusta ed accettabile della stessa crisi tra Israele e palestinesi. Per non parlare poi di quel che potrebbe accadere nel settore dell'economia se questa divisione tra i paesi occidentali si dovesse trasferire anche nei rapporti commerciali e industriali tra i due nuovi "blocchi". Non sappiamo veramente - dice un osservatore disincantato della politica internazionale - se un'America uscita con le ossa rotte da questa vicenda, potrà rimanere la stessa di prima, non sappiamo se vorrà accettare di essere richiamata a più miti consigli da un'Europa più o meno unita e istituzionalmente fragile con un'economia che fa acqua da molte parti; tutto fa pensare insomma ad una crisi mondiale di proporzioni al momento non decifrabili, ma certamente inquietanti. Questo è il rischio vero di un'operazione che doveva e poteva essere definita solo di "polizia": da una parte gli Stati Uniti con la sua opinione pubblica impaurita da quel che avvenuto a New York l'11 settembre e dall'altra un dittatorello ormai da tutti conosciuto come tale e potenzialmente pericoloso.