elzevirino da ITALIA OGGI
Anni fa mi avvicinai al nascente marketing politico, una disciplina a lungo assimilata alla «comunicazione politica», in realtà ben altro. Solo con Obama divenne autonoma, lui capì che il «progresso tecnologico» da un lato, e il «regresso dei valori» dall'altro, chiedevano una politica veloce, leggera, liquida, che adeguasse i suoi tempi a quelli della società. La velocità è un modo di vita eccitante ma pericoloso, osservando il percorso di Obama se ne ha la dimostrazione. Oggi, per essere eletto, l'ideologia non ti serve, i valori neppure, men che meno i programmi, tu devi solo parlare, twittare, essere connesso, mobilitare con ogni mezzo le altrui emozioni, considerare il cittadino come un acquirente di beni scadenti o superflui. Che fare? Creare una vera relazione emozionale, attraverso la pratica di racconti condivisi. Più carichi le aspettative dei tuoi elettori, più hai la certezza di essere eletto. Berlusconi fu l'ultimo leader eletto dalla televisione, da Obama in poi la tv ha perso il suo ruolo dominante, la frammentazione dei pubblici porta automaticamente alla frammentazione dei canali, tipico del mondo digitale e dei social. Spesso il declino del leader inizia poco dopo essere eletto, anche qui il caso Obama è emblematico, un altissimo consenso iniziale, in appena 6 anni (e da presidente!) si è trasformato in un'anatra zoppa. Eppure non ha fatto errori clamorosi, è stato sempre lo stesso uomo perbene di prima, un intellettuale liberal che non sapeva nulla del mondo reale, inetto, certo, nell'execution, però come tutti. È il destino dei leader di quest'epoca, essere eletti senza meriti, essere scaricati senza demeriti. Lo è stato per Zapatero e Sarkozy, così lo sarà per Cameron, Hollande, Renzi. Nell'anno trascorso mi hanno affascinato tre grandi markettari nostrani (non una connotazione negativa, anzi), Matteo Renzi, Oscar Farinetti, Staffan de Mistura. Renzi si ispirò, immagino, a quel manifesto ove Obama, mezzobusto con testa inclinata (Gruber style), sguardo fermo, proiettato lontano, sullo sfondo la scritta in nero «The brand called Obama». Renzi lo capì al volo. Usando le parole chiave della Leopolda creò un intreccio narrativo simpaticamente pop, mobilitò le masse col ricorso a sentimenti come paura (Grillo) e speranza (lui), si disinteressò dei programmi, focalizzandosi sui valori, fu multicanale, visual, multitasking. Usando le tecniche sottese allo storytelling formò la sua squadra, selezionando il meglio della mediocrità mascherata, arricchendola di ormoni femminili, trasformò la sua storia in quella di Mitterand (Le Florentin): «Viene eletto colui che racconta al suo popolo quel pezzo di storia che ha voglia di ascoltare in quel preciso momento, a condizione di essere lui l'eroe di quella storia». Ora sappiamo tutto di Renzi, quando inizia un discorso già cosa dirà, la battuta che farà (questo ci irrita, ma ci tranquillizza). Un giorno d'improvviso lo confonderemo con Crozza, allora il suo destino sarà compiuto: la società dei consumi avrà digerito un simpatico ragazzo fiorentino, e «avanti un altro!» (tranquilli, ce ne sono tanti). Oscar Farinetti è la versione società civile di Renzi, il suo percorso esattamente speculare, seppur opposto: dal marketing alla politica. Nacque grande commerciante, acquisì enormi competenze di marketing, scoprì in se straordinarie doti di execution, geniale fu la sua business idea: vendere in un unico luogo (ove tutti pensano di respirare il «made in Italy») prodotti alimentari nostrani: qualità medio-alta, prezzi alti. Come tutto il capitalismo di relazione degli ultimi 50 anni (da Cuccia, all'Avvocato, e giù per li rami) si collocò politicamente a sinistra per «proteggere-favorire» i suoi business. Intuì le potenzialità di Renzi, si infilò in una nicchia del suo circolo magico, convinse gli allocchi di rappresentare addirittura la «biodiversità del paese». Fu geniale. Appena avrà venduto l'ultima tranche della sua partecipazione in Eataly, potrà entrare in politica. Lui un brand lo è già, un piccolo riposizionamento, ed è fatta. Però, dei tre il mio prediletto è Staffan de Mistura, Trovo la sua business idea straordinaria. Eccola: «Svolgere incarichi politici per conto di governi o dell'Onu, purché siano mission: impossible». Ogni volta, parte con grande entusiasmo (ripetendo in una decina di lingue il suo mantra: «Sono un inguaribile ottimista), mette a punto piani sofisticati, viaggia in continuazione, elegante, sorridente, dà conferenze stampa inutili e interviste sul nulla, però piene di fiducia sul futuro, improvvisamente scompare (vedi il caso dei marò). Una vacanza a Deauville, cambio di pochette, e rieccolo pimpante, targato Onu, in un nuovo incarico: «Cercare una soluzione al conflitto nel quadrante Siria-Irak» (sic!). Essendo tutte «mission: impossible» lui non le può risolvere, e infatti non ci prova nemmeno.Dov'è la ratio? Come mi disse un celebre consulente anglosassone, totalmente inutile ma strapagato da Fiat «e intanto l'uomo campa_»
articolo pubblicato il: 20/01/2015 ultima modifica: 28/01/2015 |