teatro
Effetto Lucifero 2 -13 maggio 2012 Drammaturgia Dario Merlini Regia Andrea Lapi, Dario Merlini, Umberto Terruso Scene e costumi Chiara-Luna Mauri Con Stefano Cordella, Daniele Crasti, Massimiliano Mastroeni, Dario Merlini, Dario Sansalone, Fabio Zulli Co-produzione Teatro Filodrammatici e Òyes Progetto vincitore del Premio Giovani Realtà del Teatro 2010 Testo finalista Premio Riccione-Tondelli 2011 Sei uomini qualunque, sei sconosciuti, trovano rifugio in una casa isolata. I Padroni di Casa danno loro tutto ciò di cui hanno bisogno: un tetto, un lavoro, del cibo e sei tute pulite: solo a tre di queste sono abbinate le chiavi di tre stanze. Sei persone qualunque diventano così due gruppi, due "popoli" e una casa isolata diviene il territorio da conquistare e difendere in attesa del ritorno dei Padroni, mentre "quello che c'è fuori" continua a imperversare. Capita che i buoni debbano difendersi dai cattivi. Che debbano imprigionarli, per non vivere nella paura. Capita che i buoni, dopo averli imprigionati, umilino e torturino i cattivi. Che li eliminino, fisicamente o moralmente. Capita spesso. Capita ovunque. Sicuramente tra i buoni ci saranno delle "mele marce" che hanno provocato la violenza, persone malate che l'Autorità isolerà e punirà. Oppure è l'Autorità stessa che, creando arbitrariamente una distinzione tra buoni e cattivi, creando un "nemico", permette alla violenza di esplodere? La nostra cultura, i media e, più in generale, l'opinione pubblica, ci abituano ad interpretare la violenza ed i fenomeni storici che l'hanno vista esplodere come degli "errori" all'interno di strutture sociali altrimenti "sane" e funzionanti. Come spiegare l'insorgere della violenza all'interno di strutture create per combatterla, come nei recenti casi di abusi sui detenuti di Guantanamo. Negli anni '70, il prof. Philip Zimbardo, docente e ricercatore presso l'Università di Stanford, negli USA, conduce un esperimento di psicologia sociale che diventerà un caso: suddivide un gruppo di normali studenti arbitrariamente in "guardie" e "carcerati", i ragazzi, volontari, dovranno simulare per due settimane la vita carceraria. L'esperimento, successivamente noto come l' "Esperimento Carcerario di Stanford", dovrà essere interrotto dopo soli cinque giorni: i partecipanti avevano preso talmente seriamente i rispettivi ruoli, pur sapendo di far parte di un "gioco" che poteva essere fatto cessare da chiunque in qualunque momento, da obbligare lo scienziato a fermarli per salvaguardarne l'incolumità fisica e mentale. Zimbardo, scioccato dagli effetti della "situazione" simulata sui comportamenti dei giovani, elabora la teoria analitica dell' "approccio situazionale" ai fenomeni umani: l'uomo è estremamente vulnerabile di fronte al potere dell'Autorità, sotto qualsiasi forma essa si manifesti. Le pressioni esercitate da una struttura autoritaria su gruppi di individui, hanno il potere di indebolirne le capacità critiche e di trasformare persone miti e solitamente ritenute "morali", in efferati carnefici privi di scrupoli e rimorsi, perché psicologicamente indotti, con la somministrazione di stimoli corretti, a delegare le responsabilità degli atti compiuti a qualcosa di più grande di loro, un'invisibile e potente Autorità. articolo pubblicato il: 22/04/2012 |