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la guerra senza tv

Quando si parla di conflitti dimenticati non si può fare a meno di parlare del Sudan, un paese africano afflitto da lunghi anni di una guerra etnica e religiosa che ha diviso il vasto territorio sudanese grosso modo in due metà, il nord del governo islamico ed il sud povero, cristiano e animista. Si stima che il conflitto abbia già causato oltre due milioni di morti e milioni di profughi che vagano per il deserto cercando qualche precaria sistemazione.
Pochi mesi prima della dichiarazione d'indipendenza dalla Gran Bretagna (1 gennaio 1956) le popolazioni del sud si rivoltarono in cerca di una "loro" indipendenza. Malgrado qualche promessa di autonomia i governi via via succedutisi hanno sempre contrastato il popolo nubiano (perseguitato fin dai tempi dei faraoni) fin quando, nel 1972, con gli accordi di Addis Abeba, sembrava che la pace dovesse essere vicina.
La calma è durata ben poco, fino a quando al potere sono andati gruppi integralisti che hanno imposto la sharia, la legge islamica, provocando rivolte tra cristiani e animisti e all'interno degli stessi arabi, molti dei quali laici e filo-occidentali.
Dietro il fattore religioso si nasconde quello economico: la scoperta del petrolio nel sudest del paese ha scatenato gli appetiti di molti che, nascondendosi dietro il fanatismo religioso, puntano allo sfruttamento di immense ricchezze. I 200mila barili di petrolio prodotti giornalmente costituiscono il 75 per cento delle esportazioni del paese e servono per comprare armi leggere e pesanti, mine, elicotteri, aerei. Nella ricerca e nello sfruttamento sono interessate compagnie cinesi, malesi, argentine, canadesi e britanniche. Ma il debito estero ha raggiunto i 17 miliardi di dollari, nonostante che il paese produca, oltre al petrolio, gomma arabica, frumento, cotone e bestiame.
Esercito e gruppi paramilitari colpiscono continuamente la popolazione civile del sud, stremata dalla fame e dalla siccità. L'organizzazione Manos Unidas afferma che i militi uccidano gli uomini e sequestrino donne e bambini per farne schiavi. I giovani maschi sarebbero impiegati nei lavori più pesanti, mentre per donne e bambine, oltre al lavoro, ci sarebbe il servizio sessuale da espletare con i propri padroni. Nei dintorni di kartum si ammassano circa due milioni di profughi, in larga parte vecchi e anziane vedove, in situazioni al limite della sopravvivenza.
Anche tra gli arabi del nord la lunga guerra ha portato impoverimento e disagi. I giovani sono oggetto di reclutamenti forzosi nell'esercito. Coloro che non possiedono la carta d'identità sono passibili di reclutamento, ma la carta d'identità si ottiene solo dopo essere passati per l'esercito.
Nel gennaio scorso un cessate le armi siglato sul monte Nuba sembra aver ridato un filo di speranza a quelle popolazioni, ma altri ce ne sono stati in passato e non si sa quanto la tregua potrà durare.
Il dramma del Sudan (etimologicamente: il Paese dei Negri) è che la sua storia non fa notizia; le grandi agenzie di stampa, le televisioni più importanti, i giornali più autorevoli non ne parlano o ne accennano di sfuggita. E nel villaggio globale tutto ciò che non fa notizia non esiste; se non c'è cassa di risonanza non c'è mobilitazione internazionale, non se ne discute all'ONU, nessuno si adopera per mediare e risolvere. Alla fine degli anni sessanta un'agenzia internazionale di pubblicità lanciò sui media il dramma della guerra civile in Nigeria, facendone un caso internazionale. Probabilmente i profughi sudanesi, del tutto privi di risorse economiche, non troveranno facilmente la strada per assumere copywriter e art director.