Questa raccolta di poesie accompagna il lettore in un viaggio attraverso la bellezza della vita, fatto di pensieri e sensazioni intrise di nostalgia. Tutti noi conosciamo quella fitta alla stomaco, che Baudelaire chiamava spleen, ma è mestiere del poeta darle forma con le parole e in questo De Luca riesce alla perfezione. Luoghi, suoni e odori che ci paiono più belli perché bello è il ricordo della gioventù, lo squisito dolore delle memorie d’infanzia, in cui tutto è perduto, ma nulla è dimenticato. Immagini famigliari, che parlano all’anima, in segreto.
I trenta e più componimenti contenuti in Poesie del disincanto si dividono in due parti. Nella prima troviamo “Esuli pensieri”, di carducciana memoria, nei quali le dolci immagini dell’infanzia a Rocca d’Arce fanno trasparire il ricordo di una famiglia amorevole e di una giovinezza spensierata che stringe il cuore in una tenera nostalgia dei tempi che furono e che più non torneranno. Esemplari sono in questo i componimenti “Il Treno dei desideri”: “Ma se ascolto una musica / e la mente corre a un ricordo / e gli occhi si inteneriscono / fino a partorire una lacrima / mi coccolo e mi struggo. / Il cuore non puoi spegnerlo, / come la luce, con un interruttore”, e “A mamma”, nel quale, come scrive Walter Chiereghin nella sua bella prefazione, è “paradigmatico di questa introspezione di epoche lontane (…) in cui sarà per l’attesa del bimbo per il suo bacio della buona notte, sarà per il profumo dei biscotti di pasta frolla risulta quasi impossibile ignorare un accostamento con le prime pagine della Recherche di Proust”.
Il libello si conclude con le otto “Poesie della quarantena”, nelle quali il verso poetico si allunga in componimenti più strutturati, permeati dall’angoscia del periodo storico e dalla comune speranza di rinascita. Tra questi spicca “Preghiera (De profundis clamavi ad te, domine) in cui l’autore si scaglia in un’invettiva contro l’ingiustizia divina: “Caro Dio, che ti succede / forse la vecchiaia / ti gioca brutti scherzi. / Perché in questa valle di lacrime / continui a mandarci sciagure / non dirmi che ti diverti / a veder crepare la gente, / tu, Padre, i figli tuoi”.
Il filo conduttore tra le due raccolte rimane la famiglia, quella d’origine nel primo caso e quella creata nel secondo e soprattutto l’amore per la cultura, vera salvezza dell’uomo e del mondo intero. L’autore vuole guidarci in un excursus attraverso citazioni mutuate dal mondo della letteratura, con i continui riferimenti alla poetica di Leopardi, di Foscolo, dei grandi classici sempre più spesso dimenticati, della musica, attraverso la riscrittura di Quello che non ho di Fabrizio De André e le dediche agli amati Beatles, per finire con il cinema e l’arte.
Non vi è ordine, né metrica nei versi sciolti, ma c’è uno slancio immaginativo che proprio per questo risulta più efficace e immediatamente comprensibile e tutto ciò che leggiamo può senza sforzo diventare nostro. Donandoci l’intimità dei suoi pensieri De Luca ci incita a produrne di personali, dando vita nel lettore ad un flusso di coscienza che ha origine dal profondo dell’anima. Goethe diceva che si dovrebbe, almeno una volta la giorno, leggere una bella poesia, e questo piccolo libretto, che può essere messo in tasca e portato con noi in ogni luogo, ci ricorda di prenderci un momento per noi stessi, per riflettere e ricordare.
Michele De Luca nasce a Rocca D’Arce in provincia di Frosinone il 26 Aprile 1946. Si laurea in Giurisprudenza con una tesi in Filosofia del diritto sull’Illuminismo giuridico napoletano. Operatore culturale, giornalista e scrittore, si occupa di uffici stampa nel settore delle mostre d’arte. Il suo campo culturale principale è la storia e l’arte della fotografia, ma si interessa anche di poesia e satira. Vive e lavora tra Roma e Venezia.
articolo pubblicato il: 03/03/2023