A ridosso del centenario della sua nascita (Bologna, 1922) la mostra di Palazzo Ducale vuole riportare l’attenzione sulla figura di Pier Paolo Pasolini e le sue principali esperienze personali, culturali e professionali attraverso il mezzo della fotografia. Pasolini è stato infatti uno dei personaggi pubblici più fotografati del suo tempo, e molti di questi scatti sono divenuti ormai immagini iconiche del poeta. Il percorso espositivo intende far conoscere e approfondire la conoscenza della sua vita e della sua esperienza professionale: una iniziativa culturale che nasce dalla volontà di continuare ad alimentare, soprattutto nelle giovani generazioni, un confronto con il lascito intellettuale di Pasolini, pur nella consapevolezza dell’immenso lavoro di ricerca presente ed associato ad ogni ambito del suo impegno. Solo per citare alcuni autori presenti: Letizia Battaglia, Carlo Bavagnoli, Sandro Becchetti, Dario Bellini, Piergiorgio Branzi, Elisabetta Catalano, Mimmo Cattarinich, Diovio Cavicchioli, Elio Ciol, Mario Dondero, Gabriella Drudi Scialoja, Aldo Durazzi, Claudio Ernè, Toti Scialoja, Archivi Farabola, Federico Garolla, Giovanni Giovannetti, Vittorio La Verde , Massimo Listri, Cecilia Mangini, Nino Migliori, Domenico Notarangelo, Angelo Novi, Rodrigo Pais, Duilio Pallottelli, Angelo Pennoni, Pierluigi Praturlon, Paul Ronald, Salvatore Tomarchio, Mario Tursi, Roberto Villa, Italo Zannier.
La scelta del mezzo fotografico per esplorare l’opera e il pensiero di Pasolini non è casuale. La sua relazione con il mezzo fotografico è stata ambivalente. Se da una parte scriveva “niente come fare un film costringe a guardare le cose”, il suo rapporto con le immagini immobili era differente come testimoniano le sue parole: “alle fotografie è sufficiente dare una occhiata. Non le osservo mai più di un istante. In un istante vedo tutto”. Eppure Pasolini ha sempre offerto grande disponibilità nel farsi fotografare, anche nei momenti privati della sua vita. E l’enorme quantità di materiale fotografico dedicato alla sua figura ne è testimonianza.
La selezione di fotografie proposta in mostra permette di costruire un vero e proprio percorso nelle principali esperienze che hanno caratterizzato il lavoro e la vita del poeta. Articolato in sezioni dedicate ognuna a uno specifico tema, come la città di Roma, i ragazzi delle borgate romane, il concetto di corpo, l’esperienza del cinema e altre ancora, il percorso non segue una scansione cronologica o una scala di priorità: invita piuttosto il visitatore a lasciarsi ispirare dal pensiero e dalle parole di questo intellettuale immenso. Come ha scritto Marco Minuz, “il volto di Pasolini diventa così “la mappa” per leggere il suo lavoro, la sua personalità, il suo pensiero e le sue scelte. Metaforicamente la sua pelle, immortalata dal mezzo fotografico, diventa così spazio privilegiato per comprendere, con vicinanza, il percorso professionale di quell’inafferrabile uomo chiamato Pier Paolo Pasolini”.
Vale la pena qui ricordare Dino Pedriali (per antonomasia “il fotografo di Pasolini") che ci ha lasciati l’11 novembre scorso: che il critico d'arte Peter Weiermair definì come il “Caravaggio della fotografia del Novecento” perché come Michelangelo Merisi, “prendeva i suoi modelli dalla strada e li nobilitava nei suoi quadri”. Fotografò tanto Pasolini e suoi sono gli scatti che lo ritraggono nella sua casa di Chia, una frazione di Soriano nel Cimino nel Viterbese, per il suo libro Petrolio, poco tempo prima del suo tragico assassinio avvenuto il 2 novembre del 1975 all’idroscalo di Ostia. “Con Pasolini – ha detto - ho un debito, un debito eterno … Pasolini era stato abbandonato da tutti, la solitudine che ho visto in lui è terribile”.
articolo pubblicato il: 13/02/2022