Diciassette anni dopo quella tremenda primavera in cui milioni di europei vissero nel terrore di essere contaminati dalla nube radioattiva sprigionatasi nell'allora Unione Sovietica, in un posto dell'Ucraina del tutto sconosciuto ai più fino ad allora, torna l'incubo di Chernobyl.
Alexander Rumyantsev, ministro per l'Energia atomica, ha lanciato l'allarme: troppe falle si sono aperte nel sarcofago di cemento costruito in fretta e furia per bloccare le radiazioni. Fu proprio la comprensibilissima fretta dei tecnici e degli operai addetti alla costruzione dell'involucro di cemento armato a far sì che oggi si riproponga il rischio di fughe di materiale radioattivo.
Il disastro avvenne il 26 aprile 1986, ma la notizia non fu data subito al mondo. Furono gli svedesi i primi ad avvertire che le loro stazioni di rilevamento registravano valori assolutamente fuori da ogni norma. Le autorità sovietiche, nonostante parlassero di Glastnost e di Perestrojka, tentarono in ogni modo di minizzare e passarono alcuni giorni prima che Gorbaciov si facesse vedere in televisione a parlare di Chernobyl.
Da questa zona furono fatte evacuare con molta calma più di centomila persone. Ancora una settimana dopo l'incendio del reattore, un tecnico specializzato italiano che rimpatriava dichiarò che lassù gli era sembrato tutto normale, che si mangiava di tutto e non capiva "tutto questo carosello che ho trovato quaggiù". Si ignora, ma purtroppo si può intuire, quale fine abbia fatto.
I corrispondenti dell'agenzia Novosti in Italia quasi si seccavano delle domande, affermando che non c'era nulla di grave, lassù, ma non furono i soli a minimizzare. Alla televisione francese illustri meteorologi affermavano senza ombra di dubbio che la direzione dei venti escludeva la Francia da qualsiasi pericolo, in un paio di regioni italiane sembrava che la radiazione non fosse arrivata (poi si scoprì che le loro strutture di rilevamento erano quasi inesistenti). Un medico italiano, intervistato in televisione, ebbe la spudorataggine di affermare che in Italia la radiazione avrebbe avuto effetti quantificabili "in cinque sigarette in più" (perché non quattro o sei non si sa).
Ma i pericoli non si esurirono nei giorni immediatamente dopo il disastro. Alcuni materiali radiattivi avevano una perdita di potenza in pochi giorni, ma altri l'hanno avuta in anni, per altri ancora si parla di millenni. Sarà un caso, ma l'aumento delle affezioni della tiroide registrato in questi ultimi anni non è spiegabile (o forse lo è fin troppo). Troppe persone hanno mangiato funghi (soprattutto i deliziosissimi finferli e finferlini che sembra fossero i più ricettivi) nei mesi e negli anni seguenti al disastro senza ricordarsi dei giorni passati chiusi in casa, nel terrore, malgrado il maggio del 1986 fosse caratterizzato da stupende giornate di sole. Ma forse quel medico intervistato direbbe ancora oggi con supponenza che l'aumento dei tumori non c'è e se ci fosse "saranno le sigarette".