Nel luglio scorso il Presidente della Commissione europea Barroso ed il suo vice Olli Rehn hanno nominato un gruppo di esperti, del quale ovviamente non fa parte alcun italiano, per rendere operativa la proposta tedesca di sottomettere ad un automatico processo forzoso di consolidamento fiscale i Paesi con rapporto debito/PIL superiore al sessanta per cento. Il gruppo, presieduto dall'austriaca Gertrude Trumpel-Gugerell, ha già svolto gran parte del suo lavoro, dovendo presentarne le conclusioni entro marzo, in modo che la Commissione possa adottare i relativi provvedimenti prima della scadenza del proprio mandato.
La proposta vede la costituzione di un Fondo di Redenzione in cui confluisca la quota di debito di ciascun Paese dell'eurozona eccedente il sessanta per cento del PIL. Il Fondo potrebbe collocare titoli sul mercato ad un tasso di interesse piuttosto basso. Sui Paesi indebitati graverebbe l'onere di estinguere nel giro di un paio di decenni la quota di debito collocata nel Fondo, unitamente a quello di estinguere comunque la parte di debito fino al sessanta per cento.
Per l'Italia le conseguenze sarebbero devastanti, perché il meccanismo sarebbe automatico e porterebbe nel Fondo ogni anno la bellezza di quasi cinquanta miliardi di euro, senza alcuna possibilità di manovra per i nostri governanti. Le conseguenze sarebbero un taglio alla spesa pubblica tale da provocare rivolte o un aumento della tassazione a livelli insostenibili, anche qui con enormi disagi per la coesione sociale. In tutti e due i casi le speranze di ripresa sarebbero pressoché nulle. Addirittura, per impedire che gli italiani non stiano ai patti, il progetto prevede il "pignoramento" di parte del gettito fiscale e delle riserve auree della Banca d'Italia.
Tutto questo sta avvenendo nell'assordante silenzio dei politici italiani, così come è già accaduto con la ratifica del trattato del Fiscal compact e l'inserimento in Costituzione dell'obbligo del pareggio di bilancio. Il Parlamento ratificò la decisione presa altrove ed i cittadini sono stati costretti a tirare la cinghia. La stringeranno molto di più in futuro, dato che il meccanismo proposto dal German Council of Economic Experts potrebbe raggiungere senza scosse gli obiettivi solo in presenza di una forte crescita del PIL. Considerate le prospettive, che non potranno essere di grande crescita, tra pareggio di bilancio in Costituzione, mantenimento del debito al di sotto del sessanta per cento ed oneri del Fondo di Redenzione, lo sbocco non potrà essere altro che un generale impoverimento del nostro già martoriato Paese.
Tutto ciò a Berlino non interessa; l'importante per Angela Merkel è che il prossimo presidente della Commissione europea sia gradito al contribuente tedesco, meglio ancora se sarà il tedesco Martin Schultz che appartiene alla SPD, partito avverso alla Cancelliera ma comunque alleato di governo nella Grosse Koalition. Se non sarà Schultz, la scelta potrebbe cadere sull'irlandese Enda Kenny o sul polacco Donald Tussk, entrambi graditi alla Merkel. Molto gradito a Berlino è anche il finlandese Olli Rehn, un rigorista convinto.
Come si vede, in Europa si sta affermando prepotentemente il "merkiavellismo", un modo di agire studiato a fondo dal sociologo e professore tedesco Ulrich Beck. La Germania non usa più i fanti dall'elmo chiodato, come esattamente avvenne cento anni fa, né i panzer di una settantina d'anni fa, ma con le scelte in campo economico sta tentando di colonizzare l'Europa ed i soldi, si sa, vanno più lontano delle schioppettate.
Pochi giorni or sono la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha stabilito che in Italia si possa dare ad un figlio il cognome della madre. L'Italia ha tre mesi di tempo per adeguarsi legislativamente. Ora, per quello che ci riguarda, si potrebbe dare ai figli anche il cognome della nonna materna o di un lontano prozio, non sono questi i problemi che preoccupano nello stato attuale dell'Italia. Quello che non è tollerabile è che una Corte, sia pur internazionale, possa entrare nel merito di scelte di un Paese democratico in materia di diritti civili. In questo modo potrebbe, e forse lo farà in seguito a qualche ricorso, stabilire che il matrimonio tra persone di sesso diverso sia discriminante, così come lo jus sanguinis rispetto allo jus soli.
La Corte di Strasburgo non va confusa con la Corte di Giustizia della UE, che ha sede in Lussemburgo, né tanto meno con la Corte Internazionale di Giustizia dell'ONU, che ha sede all'Aja. Strasburgo, Lussemburgo e l'Aja hanno il potere di stabilire ciò che sia buono o no per noi, così come, soprattutto, Bruxelles, in questo caso dietro precise disposizioni di Berlino.
A questo punto non solo il Senato, ma anche la Camera potrebbe essere abolita, con notevole risparmio per il contribuente.
articolo pubblicato il: 13/01/2014 ultima modifica: 14/01/2014