Loriginale formula del confronto, adottata con successo in diverse precedenti esposizioni, è una delle linee-guida che connotano la programmazione del Museo dArte delle Generazioni italiane del 900 G. Bargellini di Pieve di Cento (Bologna) per brevità oramai chiamato semplicemente MAGI che intende così creare momenti dialettici nellambito dello stesso contesto espositivo tra esperienze creative diverse per tematiche, centri dispirazione e soluzioni linguistiche. E una formula che appare tanto più stimolante quando coinvolge artisti di forte personalità, lontani per storia personale ed artistica; comè il caso del nuovo ed inedito capitolo dei confronti da museo che interessa questa volta due artiste, sicuramente lontane per origine e back-ground geografici e culturali, per modo di interpretare e realizzare la pittura, per poetica e soluzioni estetiche: Kiki Fleming, nata a Guangzhou in Cina da padre danese e madre inglese (vive e lavora da oltre dieci anni a Città di Castello in Umbria, dopo aver realizzato scenografie per i più grandi stilisti del mondo) e Angela Pellicanò, nata e residente a Reggio Calabria, molto apprezzata anche come ceramista e art director di Bovarchè, evento internazionale darte da lei stessa ideata, che si svolge nel cuore dellAspromonte.
La mostra a cura di Giovanni Morabito, corredata da un catalogo pubblicato dalle Edizioni Bora, propone fino al 19 giugno una scelta di opere delle artiste, interpreti di due mondi, interiori ed esteriori, tra loro certamente diversi (anche se entrambi si muovono tra figurazione e astrazione), ma capaci di creare suggestivi momenti di dialogo, ponendo così il visitatore in una situazione estremamente stimolante di contestuale fruizione critica di specificità espressive che si collocano in versanti immaginativi e universi culturali tra loro distanti, con il risultato di produrre un irripetibile momento di comunicazione complessiva.
Da una parte larte della Fleming, in cui agli echi della lontana cultura visiva orientale, peraltro mai spenti, si vanno ad aggiungere le seduzioni del paesaggio e della forte tradizione pittorica dellUmbria, in cui natura, storia e arte si fondono mirabilmente. E in questa condizione, che coniuga cosmopolitismo con forti radicamenti nella terra di elezione, che si ravvisa la personalità artistica della Fleming, che come sottolinea nella sua presentazione Gabriele Simongini non facendosi più condizionare dalla barriera fittizia fra astrazione e figurazione, si è immersa nelle profondità atmosferiche di campi di colore che sono veramente porte aperte verso linfinito, non casualmente nate in una terra dalla forte vocazione mistica, qual è lUmbria. La pittrice, in una costante ricerca che la porta ad esplorare le innumerevoli dimensioni fisiche e spirituali del colore, partecipa fortemente al mondo che descrive; essa, infatti, non si pone davanti alle cose o non si limita a collocarle in uno spazio scenico, ma entra a far parte degli oggetti e della natura, creando una spazialità viva e vitale. In questo senso Kiki Fleming dà immagine a spazi atmosferici e vaporosi eppur mai naturalistici, utilizzando magistralmente le trasparenze.
A confronto con questo mondo poetico e con questa pittura sono esposte le opere di Angela Pellicanò, così immerse nel Mediterraneo, per memoria, profondità di legame con un universo geografico e culturale culla di antichissime civiltà, che ha vasta eco nei suoi quadri, nonché per fertile inventiva cromatica. Anche la Pellicanò si muove tra ricerca astratta e sollecitazione figurativa; anzi, come sottolinea in catalogo Martina Corgnati, non decide mai definitivamente, e non ci lascia mai decidere, se le sue opere siano effettivamente figurative o non piuttosto astratte. Simboliche, esse possono essere meglio definite, intendendo con questo termine che media fra le esigenze della significazione e quelle della rappresentazione, un modo per dire mostrando, e per far vedere enunciando. Ad un altro livello ancora, i dipinti della Pellicanò sono interpretabili come paesaggi, interni ed esteriori insieme, sono spazi antichissimi (Mediterraneo, non a caso, ancora), dove si consumano riti eternamente attuali damore, dincontro, ma anche di violenza e di sopraffazione. In diverse opere, di forte intensità comunicativa, lartista calabrese, mai incline a soluzioni facili e scontate (sia suul piano linguistico che dei contenuti), mostra una sorta di indifferenza, se non di insofferenza, verso le convenzioni e le piacevolezze della pittura, intendendo e praticando il lavoro pittorico come processo mentale, che deve parlarci di noi, della nostra condizione e del nostro mondo, pur senza abdicare alla sensualità dei suoi materiali e della sua specifica lingua.