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la morte di Giovanni Paolo II
di Norberto Gonzalez Gaitano

Bilancio provvisorio della comunicazione dell’inatteso “Avvenimento” planetario nato da un “evento” a lungo aspettato

Ci vorrà del tempo per assorbire e per spiegarci quanto è accaduto e sta accadendo, a Roma e nel mondo, dal punto di vista della comunicazione con la morte di Giovanni Paolo II, il Papa “mediatico” che si è rivelato migliore e più comunicativo dei media. I mezzi di comunicazione sociale, preparatisi per anni a raccontare la morte del Pontefice che ha varcato il secondo millennio con la Chiesa, si sono visti travolti da uno tsunami che ha inondato i loro sistemi di registro.

Il giusto riconoscimento ai giornalisti, l’anello più debole del sistema dei media, un gigante di cartapesta

Nel suo testamento spirituale, Giovanni Paolo II menziona un riconoscimento ai rappresentanti dei mezzi di comunicazione, e agli appartenenti ad altre categorie professionali citate in modo illustrativo. Non è la prima volta che il Papa ha ringraziato i giornalisti, così come non sono mancate le occasioni in cui li ha richiamato ad essere all’altezza della loro missione che si configura come un vero servizio alla società e non come sudditanza ai poteri della terra.

Mi azzardo a farmi ecco del ringraziamento del Papa, e al contempo mi avvalgo del suo avvertimento più avanti, attraverso un’analisi dei punti di forza e delle debolezze del sistema dei media, che sono emersi con la morte di questo grande Papa.

I cristiani e il mondo abbiamo un dovere di gratitudine per il lavoro duro, stancante, logorante di tanti giornalisti che per settimane e settimane ci hanno informato, senza sosta né riposo, della tappa finale della malattia, della morte e dell’omaggio mondiale al Pontefice. Ci sono però, ahimé, anche le vittime in questa “sfrenata corsa informativa intrapresa dal circo mediatico internazionale per raccontare quel che succedeva al terzo piano del Palazzo apostolico o al policlinico Gemelli”. Le citate parole sono del medico personale del Papa ed esprimono un dolore morale a lungo soffocato. Egli stesso aggiunge, al contempo, che va anche messo in conto il fatto che grazie a questa copertura informativa senza precedenti, milioni di persone si sono messi in moto per seguire la sofferenza del Papa ed accompagnarlo. Questo dimostra che, per fortuna, in alcune guerre - che non usano armi di distruzioni di massa, bensì di altro genere - ci sono anche i beni collaterali.

Alcune debolezze del sistema dei media

Il sistema dei media ha dimostrato ancora una volta, insieme ai pregi, le carenze che lo distinguono anche in ambito religioso.

Alcuni giornalisti e comunicatori, abituati a una gara di rincorsa all’audience, hanno peccato di protagonismo personale e hanno riempito il contenitore televisivo di immagini e parole, proprie e prestate, reiterate, ripetute, mille volte riprodotte, che oscuravano il silenzio delle persone in composta e serena preghiera. Nonostante il cicaleccio, intanto, la maggior parte degli spettatori ha potuto intuire il significato di quel silenzio assordante, un silenzio che parlava per sé stesso.

I paladini dell’informazione mondiale hanno ucciso il Papa prima della sua morte. Alcune emittenti televisive mondiali, tese da mesi come le corde di un violino, hanno preso il granchio più colossale della storia del giornalismo. CNN e Fox News, alla stregua di Reuters, si affidano a una agenzia informativa di terza classe, nota per il suo sensazionalismo, e battono la “breaking news” del secolo: “Elettroencefalogramma piatto” per il Papa. Vittime delle proprie regole, di una cultura anglosassone giornalistica del sospetto, danno più credito allo “scoop” di una piccola agenzia italiana che alla lunga e coerente traiettoria di correttezza professionale della Sala Stampa del Vaticano, figlia di una ancora più grande traiettoria di sincerità e autenticità del suo datore di lavoro, Giovanni Paolo II. Non c’è mai stata un’apparecchiatura per il rilevamento dell’encefalogramma negli appartamenti pontifici. Fortunatamente, non tutti i cittadini hanno frequentato le scuole di giornalismo e ciononostante sanno andare al sodo. E’ vero che una macchia nel vestito, seppure grossa, non lo rovina tutto e, inoltre, la si può pulire.

Il carattere di artificio dei media, mascherato con ben collaudate tecniche retoriche della spontaneità, non ha potuto comunque evitare tante e tante manifestazioni di autenticità, per lo più di gente giovane, non avvezza ai trucchi dell’industria dell’effimero. La messa in scena, involontariamente teatrale, di un noto conduttore televisivo alla notizia della morte del Papa – “il Papa è morto”- è stata capovolta dalla reazione genuina di una ragazza, alzatasi di scatto: “Ragazzi, il Papa non è morto, è vivo nei nostri cuori… e poi sappiamo, dalla nostra fede, che lui vive in Dio”. I ragazzi selezionati per il talk-show spirituale se ne sono andati a pregare a San Pietro senza chiedere permesso a nessuno. Va detto, in onore alla completezza di un dipinto molto luminoso, che la stessa emittente televisiva italiana ha fatto una copertura informativa superba, grazie soprattutto agli “operai” dell’informazione, i giornalisti di strada che sono stati per settimane al freddo, al sole, alla pioggia, ma sempre con la gente.

I media di solito peccano di sudditanza ai potenti, spesso involontaria. Questa volta però non è stato così nella maggior parte dei casi. Anche perché i protagonisti non erano i potenti della terra, i duecento capi di Stato e le delegazioni accompagnanti, ma il popolo comune che pazientemente si snodava in file interminabili per le vie attorno a Piazza san Pietro, che dormiva a ciel sereno pur di esserci. E’ stata la volta del protagonismo dei piccoli, i “piccoli” di Giovanni Paolo II Magno. Abbiamo visto cronache da incorniciare, come quella del giornalista che si è tuffato nella gente comune e ha percorso in pullman, come un pellegrino, i 1.700 km che separano Cracovia da Roma. Abbiamo visto il colore delle testimonianze personali della gente nelle code per illustrare i pezzi o le trasmissioni in diretta, ma ho visto pochi giornalisti “embedded” (incastrati) nella fila, e sappiamo tutti quanto diverso è il colore della nota di interesse umano rispetto alla densità interiore di un pellegrinaggio. Un conto è

avere notizia della realtà e un altro conto averne la percezione.

Non sono mancate, ovviamente, le ricadute nei vecchi schemi dello strisciare nei palazzi del potere per ricercare chissà quali leve misteriose muoveranno il futuro potere nella Chiesa. Poche le notizie o le interviste ai “famigliari” del Papa. Non ho visto testimonianze delle suore che lo hanno accudito per ben 26 anni. Saranno sicuramente restii ai media, come da dovere per il servizio prestato. Non si è invece scordata la moglie del Presidente Ciampi di porgere loro le affettuose condoglianze nella sala Clementina. Anche molti Cardinali sono restii a dare interviste in questo momento, ma non ho visto giornalisti mollare di fronte ai rifiuti, e in diverse occasioni sono riusciti anche ad ottenerle.

Tanti piccoli gesti genuini sono trapelati nel vortice incontrollabile di immagini, dirette, servizi; tutti colti dal popolo - e non dall’audience - trasmessi come attraverso una misteriosa comunicazione senza fili. La stessa misteriosa comunicazione creata da Giovanni Paolo II lungo il pontificato con il suo popolo.

I media hanno rischiato grosso di assuefare l’audience sull’issue Giovanni Paolo II nella loro smania di cavalcare l’onda dell’opinione pubblica credendo di essere i soli a crearla. Non ci sono riusciti perché la persona del Papa è sempre andata oltre il personaggio, perché Lui era un messaggero più grande del mezzo. In seguito ci verrà chiesto conto a noi cristiani - incolpevoli dell’inesorabile legge del profitto dell’industria dei media - del rancore covato da alcuni laici per lo strapotere mediatico della religione.

Una regia saggia e scherzosa

Le miniere d’oro non si trovano in superficie e occorre il lavoro paziente di ascolto e di riflessione per tirare fuori il pregiato minerale. Ma si vede che il regista di questo Avvenimento, che non è evento, ne abbia in abbondanza e non si stanchi di comunicarcelo perché ne attingiamo tutti. E sembra che usi anche le debolezze del sistema per manifestarlo. Soffriamo di addizione televisiva e non ci interessano i contenuti spirituali, ecco che non possiamo cambiare canale, neanche satellitare, senza imbatterci con il Papa e con il senso del suo pontificato. E tutto per colpa del sistema auto-referenziale e concorrenziale dell’industria dei media.

Ma non è colpa solo degli operatori dell’informazione e della comunicazione se il significato di quanto sta avvenendo non viene colto del tutto ed emerge a fatica. Giovanni Paolo II ci ha messo una vita, e che vita!, e soprattutto una gloriosa morte – e l’aggettivo qui non è retorica- per farlo capire anche agli ecclesiastici, cardinali compresi. Lo ha riassunto bene Ratzinger nella sua magistrale omelia delle memorabili esequie a Piazza san Pietro, vero conclave dove si è deciso il profilo del nuovo Papa, un Papa che, al di là o al di qua delle geopolitiche religiose, dovrà essere santo perché il popolo cristiano e l’umanità lo vogliono così, ne hanno bisogno. Ebbene, il decano del collegio dei cardinali ha adempiuto l'obbligo che gli spettava di leggere il significato degli avvenimenti che tutti abbiamo contemplato, ed esplicitarlo con le stesse parole di Giovanni Paolo II: “Fu come se Cristo avesse voluto rivelare che il limite imposto al male, di cui l’uomo è artefice e vittima, è in definitiva la

Divina Misericordia. Certo in essa vi è la giustizia, ma questa da sola non costituisce l’ultima parola nella storia dell’uomo e del mondo. Dio sa sempre trarre il bene del male” (Giovanni Paolo II. Memoria e identità, p. 70).

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