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editoriale
il disimpegno del Cavaliere
di Ada

Qualcuno parla di disimpegno di Berlusconi dalla politica attiva. Forse e’ cosi’, ma abbiamo in proposito molti dubbi. Le esasperate parole con le quali il presidente del Consiglio ha confessato ai cronisti il vero senso del suo discorso agli alleati, fanno pensare piuttosto ad un ultimatum. Tutti insieme veramente e con decisione, oppure ciascuno per conto proprio. In realta’ non e’ facile credere che un politico (ormai anche lui lo e’ diventato) possa buttare al vento un patrimonio superiore al venti per cento del corpo elettorale e, si badi bene, di un complesso di elettori moderati che farebbe gola a qualsiasi apparato partitico. Berlusconi, nel bene e nel male, e’ riuscito infatti a convogliare sul suo movimento le aspettative e le speranze di milioni di cittadini costretti a dover votare, dovendo scegliere il male minore, partiti che per lunghi decenni avevano fatto il buono e il cattivo tempo. Un risultato non da poco. Qui ci fermiamo col panegirico e con la glorificazione perche’ il resto e’ buio pesto.

Il Cavaliere e’ entrato in politica come un bulldozer. Forte di una maggioranza eccezionale non ha saputo pero’ controllare ne’ i suoi istinti di imprenditore bravo e fortunato ne’ tanto meno la predisposizione e la propensione dei suoi alleati a perseguire le politiche partitiche per le quali erano nati. Innanzi tutto Forza Italia: Berlusconi sin dall’inizio scelse o fu costretto a scegliere di gran corsa quel che aveva sotto mano come dirigenti e organizzatori. Uomini del suo apparato imprenditoriale, i suoi avvocati, esperti economici nelle cui idee credeva fermamente, persone provenienti dai disciolti partiti che, alla fin fine, non erano piu’, se mai lo erano stati, di levatura al di sopra della media. Individualmente qualcuno lo era veramente, ma alla prima occasione tagliarono la corda come era giusto e prevedibile.

Il suo istinto di imprenditore fece il resto. Forza Italia non e’ mai divenuto un partito: Berlusconi non lo ha mai voluto per non rimanere impigliato nei lacci e nelle pastoie proprie dei partiti. Non e’stato un “monarca” dice lui, ma le sue scelte in azioni politiche e parlamentari non provenivano certo da esami e discussioni generali. I suoi elettori non hanno mai contato nulla, la cosiddetta “base” non e’ stata mai interpellata in congressi veri e propri. Si andava avanti con acclamazioni e via dicendo all’insegna delle assemblee di rito orientale. La scelta degli alleati , naturalmente obbligata, ha fatto il resto. Sulle ali della vittoria erano tutti felici, ma ai primi rovesci elettorali culminati con la disastrosa prova del 3 aprile scorso, sono sorti i veri problemi che non sono stati del resto risolti con la nascita del nuovo Governo. Fra velleita’ e tentativi di disimpegno andati a vuoto, almeno per ora, si tenta di procrastinare l’arrivo al capolinea.

Sara’ un anno difficilissimo per tutti prima delle elezioni politiche del 2006. Aperture di credito non mancano per il Berlusconi Bis, ma le prospettive sono incertissime e precarie. Berlusconi lo sa bene dopo le esperienze e i rattoppi di questi quattro anni. Non e’ il tipo di andare alle elezioni con l’incubo di perderle, da qui l’”ultimatum” che ha rivolto ad amici ed alleati. Forse avrebbe fatto bene ad accogliere il caldo invito di noti e apprezzati osservatori politici, anche indipendenti, ad accettare la proposta di elezioni immediate (all’indomani delle rovinose regionali) chiedendo subito il giudizio del popolo. Probabilmente avrebbe perso, ma sarebbe caduto in piedi (diciamo cosi’) e non si sarebbe inoltrato, col suo nuovo governo, su un sentiero ricco, si fa per dire, di imboscate e di diserzioni che gia’ si annunciano.

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