Il giornalismo spagnolo conobbe nelle prime decadi del secolo scorso uno scrittore di indubbio talento e nobili propositi, uomo di origini umili delle quali si sentiva giustamente orgoglioso; in seguito conseguì una meritata notorietà grazie ai suoi studi e ai suoi sforzi, rendendo popolare il suo pseudonimo di Eugenio Noel.
Ciò che gli dette fin dagli inizi nella stampa questa popolarità (o meglio, impopolarità) fu la sua allora campagna contro le corride e il flamenchismo, che considerava espressione e sintomo della decadenza spagnola, un certo modo di atteggiarsi nel ballo, nel canto e nella corrida. Ma, lanciando anatemi, semplificava e schematizzava troppo, confondendo vizi e virtù. Non tutto era, è e sarà tanto negativo in quel mondo; molti toreri, cantanti e ballerini hanno saputo esercitare la propria professione con signorilità.
Ma se tutti sanno o credono di sapere cosa sia una corrida, non credo che molti sappiano esattamente cosa sia il "flamenchismo", che già dal nome non manifesta un senso preciso e chiaro.
Guardiamo al folclore andaluso, in questo caso al toreare, al canto e al ballo. Il suo primo esperto, primo e principale, Antonio Machado y Alvarez, padre dei poeti Antonio e Manuel, intitolò la sua eccellente antologia di canti andalusi "Raccolta di canti flamenchi".
"I canti flamenchi - scriveva Machado firmandosi Demofilo - costituiscono un genere poetico, principalmente lirico che è, a nostro giudizio, il meno popolare di tutti quelli definiti popolari; è un genere proprio dei cantanti..."
In questa citazione di Demofilo, ripresa da Francisco Rodriguez Marin, si afferma nientemeno che questo: le canzoni del flamenco non sono popolari o lo sono poco, perché il popolo non le riconosce come tali, poiché non sa cantarle e in certi casi non le ha nemmeno ascoltate. Quindi ciò che è popolare non è flamenco; il flamenco, secondo Marin, è qualcosa di diverso, cosa da professionisti, da specialisti, che non viene dal popolo e non va verso il popolo. Il flamenco, in definitiva, appare nel canto e nel ballo - e direi anche nel toreare - come una mistificazione o un'adulterazione della "andalusità", una falsificazione artificiosa della spontaneità popolare.
Questa artificiosità è nata grazie ad un grande maestro, padre e nonno spirituale di tutti i cantanti, che per la sua arte - che doveva essere incantevole - nel canto era un italiano; il gran Silverio (Silverio Franconetti, che aveva una scuola, o accademia, di canto, chiamata Salon de Silverio, a Siviglia, in via del Rosario, dove andarono ad ascoltarlo Machado e Rodriguez Marin negli anni 1880-1882.
Le arie di superiorità che il flamenco si è dato da allora fino ad oggi le stiamo vivendo, ascoltando... e sopportando. E' stato così inflazionato, mentre aumenta la sua risonanza internazionale, che proprio in virtù di questa eccede nella propria vacuità.