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arte e mostre
trittico d'arte
di Michele De Luca

Proporre confronti fra più artisti vuol dire, per un’istituzione museale, offrire al visitatore un evento espositivo stimolante che lo pone nella condizione di meglio saggiare la propria sensibilità estetica al cospetto di percorsi creativi, sviluppatisi nello stesso periodo storico, ma tra loro lontani e diversi per tecniche usate, tematiche affrontate e soluzioni linguistiche proposte. E’ l’idea-guida che connota una ormai consolidata serie di mostre proposte dal Museo d’arte delle Generazioni italiane del ‘900 – G. Bargellini, che nella sua sede di Pieve di Cento (Bologna) ha già proposto interessanti “confronti a due”, come quello tra Annibale Biglione e Lucio Bulgarelli e, successivamente, tra i due artisti veneziani Ennio Finzi e Carmelo Zotti.

E’ ora la volta di un confronto a tre, che vede come “coprotagonisti” tre artisti – uno scultore, un operatore estetico ed un pittore – che, seppur accomunati dallo stesso decennio di nascita, rappresentano tre universi creativi molto diversi tra loro per linguaggio e stile; dal 6 settembre – giorno dell’inaugurazione della mostra, corredata da un denso catalogo edito da Bora di Bologna, con testi, oltre che del Direttore Artistico del Museo e curatore dell’esposizione Giorgio Di Genova, di Guglielmo Gigliotti, Luigi Lambertini, Sandro Parmiggiani, Rosario Pinto e Hans Christoph von Tavel – fino al 14 ottobre, vengono esposte nell’ex silo granario pievese numerose opere di Fabio De Sanctis (Roma, 1931), Vincenzo De Simone (Roccarainola, Napoli, 1939) e Paolo Pasotto (Bologna, 1930), in un affascinante allestimento che offre al visitatore chiavi di lettura per più agevolmente individuare motivazioni espressive e linguistiche dei “discorsi” portati avanti da ciascun artista nella rispettiva esperienza creativa.

Questi tre artisti – come ci dice Di Genova – “sono tutti e tre della generazione anni Trenta, ma hanno storie diverse che si sono connotate, artisticamente, in ricerche distinte e differenziate, anche nelle tecniche utilizzate. Ciascuno appartiene ad un filone espressivo di quella sterminata e variata frantumazione del linguaggio che ha connotato il ventesimo secolo e che connota ancora l’inizio del presente secolo, con ulteriori arricchimenti, anche con connubi di tecniche, sia tradizionali che nuove”. Se, infatti, Pasotto, il quale nella Bologna degli anni Sessanta s’è affermato con la sua declinazione dell’Informale così particolare da interessare Francesco Arcangeli che lo sostenne, ha proseguito, al di là di qualche slittamento nell’iconismo sognato e sognante, in uno scandaglio delle possibili soluzioni cromo-spaziali ottenibili con gli strumenti del lessico informale, lo scultore De Sanctis ha “viaggiato” nell’ambito del Surrealismo, attirando anche l’attenzione di André Breton, il quale della sua esperienza di designer presso l’Officina Undici s’interessò, scrivendo nel 1964 un testo, ora contenuto nel volume Le Surréalisme et la Peinture.

Per quanto riguarda, invece, il napoletano Vincenzo De Simone, va detto che egli appartiene a quella schiera di operatori nomadi che sperimentano ciclicamente diversi modi espressivi ed esecutivi e, in questo secondo caso, con una tecnica sorprendente da lui stesso inventata: in un tragitto che dal quadro-oggetto è transitato per opere con inserimenti di pacchetti di sigarette, per installazioni, anche teatrali, egli è giunto alla sua particolarissima tecnica usata nella sua galleria di ritratti, realizzati senza uso di colore, ma solo attraverso stratificazioni di tele che creano ombre disegnative con i loro studiatissimi ritagli.

Proprio dal “confronto” così proposto, emergono e si evidenziano, in un gioco dialettico decisamente affascinante, le personalità di tre protagonisti del Novecento (peraltro tuttora in attività), che l’esposizione consente al grande pubblico di meglio conoscere ed apprezzare, dopo la grande rassegna dedicata alla “Generazione anni Trenta”, in cui gli artisti in questione comparivano ciascuno con una sola opera. Ora, la ricognizione che si offre sull’arco della loro intera produzione, dà modo di di approfondirne motivazioni e sviluppi. Di un versatile personaggio come il romano De Sanctis (noto anche il suo interesse per la fotografia, per il cinema e per il jazz) verrà colto sicuramente come lo stesso appaia affascinato dalla memoria per il “relitto”, da lui recuperato e nobilitato attraverso l’icasticità durevole di materiali nobili come l’alabastro di Volterra, il marmo, l’ottone, il legno e il bronzo, e come egli ribadisca, nel gioco pirotecnico degli accostamenti incongruenti, un’ironica e divertita nostalgia di suggestioni e modi futuristi e surrealisti.

Dai lavori di De Simone traspaiono lunghi anni di un’esperienza “sul campo” di tutt’altra portata: la sua tendenza ad uscire dal quadro, verificata in un lavoro anche didattico teso al recupero dei valori originari, sociali ed antropologici della sua terra, ma anche la ricerca successiva che negli anni Ottanta approderà a cicli pittorici di carattere narrativo pullulanti di figure d’ispirazione greco-italica e medievali. Il mezzo secolo di produzione del bolognese Pasotto, rappresentato dai quadri esposti (che datano, appunto, dal 1951 fino al corrente anno), attesta un cammino pittorico che evolve da premesse figurative verso un atteggiamento di grande e sensibile auscultazione della materia, di cui la sua pittura, eccezionale per invenzioni cromatiche, vuol scandagliare nelle pieghe più profonde ed inesplorate, per rivelarne i palpiti più nascosti in immagini sospese tra figurazione e astrazione.

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