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arte e mostre
Fazzini a Villa d'Este
di Michele De Luca

Dal 26 maggio una grande antologica a Tivoli dedicata all'artista marchigiano

Nell'incomparabile scenario di Villa d'Este, a Tivoli, all'interno del palazzo e del giardino voluti nella seconda meta del XVI secolo dal cardinale Ippolito II d'Este (il secondo monumento più visitato nel Lazio, Roma compresa), si inaugurerà il prossimo 26 maggio una grande antologica che rievoca l'intero percorso creativo di Pericle Fazzini (nato a Grottammare, Ascoli Piceno, nel 1913 e scomparso a Roma nel 1987), che incarna sicuramente la più avanzata ricerca scultorea nella scuola romana degli anni Trenta (periodo in cui si colloca il momento più intenso della sua esperienza artistica), con risultati di grande interesse, oltre che nelle celebri figure lignee, anche nelle prove in gesso, pietra, bronzo e terracotta. In questa fase, dedicata quasi esclusivamente al legno, lo scultore crea un'umanità remota e silenziosa, raffigurata con un linguaggio plastico semplice e istintivo che rinvia alla lezione dei grandi "quattrocentisti", dalle cui sculture si sprigiona – come egli diceva – "una forza di espressione e un senso dell'armonia che è impossibile imitare, e in cui è tutto il segreto della loro grandezza".

E' il legno, infatti, la materia in cui meglio si esprime l'ardore espressivo di Fazzini, che in un'intervista rilasciata nel 1938, in occasione della sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia, alla rivista "Quadrivio", così affermava: "Preferisco il legno alle materie su cui lavorano in genere gli altri scultori per una ragione semplicissima: che mi piace scolpire invece di modellare. Il legno mi dà una specie di voluttà, come non potrebbero il marmo o il metallo. Io ho fatto dei ritratti, dove mi sono preoccupato di trasportare non soltanto la rassomiglianza fisica del modello ma l'espressione vitale che da questo modello si sprigionava sposandola alle qualità caratteristiche del materiale in cui era tradotta la statua".

La mostra a cura di Giuseppe Appella, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Lazio con il supporto di Anas ed Enel, accoglie, fino al 30 ottobre, settanta sculture (unitamente a trentacinque disegni), da quelle maturate nella bottega del padre artigiano del legno e a Roma, dove arriva, sedicenne, nel 1929 ed è subito attratto dal Borromini e dal Bernini, fino alle Colombe, un magnifico bronzo fuso pochi mesi prima della sua morte.

Quanto il Barocco abbia contato nel lavoro dell'artista marchigiano, e nello sviluppo delle straordinarie sue qualità plastiche (già evidenti in opere come l'Autoritratto del 1931 e nel Ritratto di Birolli del 1932), emerge con prepotenza nell'Uscita dall'Arca, del 1932, che innesta nei successivi ritratti, una istintiva foga d'intaglio, un getto movimentato e prepotente delle masse, che, come ben vide Ungaretti, rimarranno radicate nel sentimento e nella fantasia, simili al "favoloso furore del vento, furia della danza". Le sculture eseguite negli anni immediatamente successivi (tra cui Figura che cammina, Danzatrice, Giovane che declama, Ritratto di Ungaretti, Ragazzo con i gabbiani, tutti veri capolavori che si potranno ammirare a Villa d'Este) sono il riflesso di una "classicità" maestosa e al tempo stesso attuale, concentrata nei gesti delle figure che specchiano la loro lirica aderenza alla realtà nella lezione di Donatello e di Michelangelo e di questa si liberano immergendo il dato obiettivo nella poeticità dell'invenzione e nell'estro della forma librata nello spazio.

Il "gesto" e il "movimento" (in opere realizzate soprattutto negli anni Cinquanta, quali Ragazzo sulla spiaggia, Donna con drappo, Donna nal vento, Donna al sole) saranno alla base delle successive scelte (del materiale, degli effetti formali, degli atteggiamenti, della stessa attenzione alle ricerche del cubismo e dell'astrattismo), come dimostrano i suoi nudi armoniosi, con la loro tensione a tradurre di ogni atto lo spirito più che il disegno realistico e ad imprimere nella forma una concentrazione di energie contrastanti con esiti di forte drammaticità e di autentica religiosità; nella realizzazione di una scultura intesa come armonoia di chiari e scuri, di ritmi, contrasti, coniugati per quanto possibile – come accade principalmente nei bassorilievi – in una architettura che renda organiche le forme.

Come ci dice Appella, Fazzini "trova nel legno la materia più adatta a scolpire, a determinare l'immagine concreta di un volto che racchiuda nella verità psicologica quella poetica senza mai sacrificare la forma plastica. Con accanimento, e una produttività inesauribile, ogni aspirazione diventa un atto naturale, ineluttabile, e la stessa deformazione è solo uno studio del movimento. Non la verosimiglianza, è il suo problema, ma il significato di un gesto, non il virtuosismo elegante della modellazione, non la retorica funeraria, ma piuttosto il bisogno di una scultura che faccia vivere l'oggetto rendendo visibile, sistematico e plastico il suo prolungamento nello spazio". Nell'opera di Fazzini risalta l'importanza che per lui ebbe, più che il soggetto, il come risolvere il soggetto stesso, la sua passionalità esplicita nell'esaltazione della forma, in una sorta di gioco espressivo e di piacere della rappresentazione; in uno stile – dice ancora il curatore dell'evento espositivo – "che cerca di emancipare la forma rendendola sempre più sintetica, con la spiritualità penetrante del poeta, il tedio doloroso, gli smarrimenti intellettuali di chi ha pensato e vissuto con il cuore il tempo della sua vita".

La mostra, organizzata da ATI - De Luca Editori d'Arte - Mostrare in collaborazione con Crisalide, si avvale di un comitato scientifico composto da Maria Vittoria Marini Clarelli, Francesco Buranelli, Pier Giovanni Castagnoli e Giandomenico Romanelli; il catalogo verrà pubblicato da De Luca Editori d'Arte, mentre l'allestimento è stato affidato a uno specialista della scultura quale l'arch. Alberto Zanmatti.

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