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"Bioetica come storia"

a cura di Lucetta Scaraffia


Come cambia il modo di affrontare le questioni bioetiche nel tempo? Nel nuovo illuminante saggio curato da Lucetta Scaraffia, Andrea Possieri, Lorenza Gattamorta, Giulia Galeotti, Francesco Tanzilli e Emanuele Colombo discutono i mutamenti di orientamento dell'opinione pubblica (e della sinistra) rispetto a temi come l'aborto, la contraccezione, la procreazione assistita, il controllo delle nascite, la disabilità, e dimostrano come le grandi questioni bioetiche che il progresso delle tecnoscienze ci impone di affrontare, abbiano in realtà profonde radici nel nostro passato, più o meno recente. «Tra gli anni Settanta e gli anni Novanta il Partito comunista italiano ha modificato radicalmente il proprio modo di guardare alle questioni morali connesse con la vita umana. Un giovane storico, Andrea Possieri, già autore di un eccellente lavoro sugli ultimi anni del PCI, ha ora studiato come è avvenuto, passo dopo passo, questo Cambiamento di senso comune sui temi bioetici.» Paolo Mieli, «Corriere della sera», 3 maggio 2011

le Edizioni Lindau hanno l'onore di presentare

BIOETICA COME STORIA
A CURA DI LUCETTA SCARAFFIA
Edizioni Lindau | «I Leoni» | pp. 247 | euro 23 | ISBN 978887180719-5| 2011
DAL 5 MAGGIO IN LIBRERIA

Chiedersi quando e come si sono prospettati per la prima volta temi tanto attuali quali l e politiche di controllo delle nascite, il dibattito filosofico sull'animazione dei corpi, il ricorso all'eutanasia, il rapporto con l'handicap... ci aiuta a comprendere come stiamo cambiando, a quali pressioni sia sottoposta la nostra facoltà di decisione etica e, soprattutto, in quale direzione agiscano su di noi le pressioni mediatiche e culturali. Perché in realtà, anche affrontando nuovissime questioni bioetiche, ci portiamo dietro il fardello del passato che influenza sempre, a volte anche pesantemente, le nostre decisioni.

Questa lettura storica dei problemi bioetici ci pone innanzi tutto di fronte a un effetto che si ripete, quello che Jacques Ellul ne Il sistema tecnico ha chiamato «slittamento morale», cioè la tendenza, tipica delle società tecnologiche, ad accettare in modo acritico le innovazioni tecniche, anche se, alla nascita, sono state oggetto di condanna generale. Dopo un certo lasso di tempo, in genere cinque o dieci anni, la novità sembra divenuta inevitabile e la spinta a essere moderni fa il resto inducendoci ad accettarla, anche se le riserve non sono sciolte.

Vi è poi la tendenza a fare della scienza un'ideologia, forse l'unica sopravvissuta, e quindi ad affidare alla tecnica il compito di creare nuovi valori, una nuova etica del comportamento. Il progressismo etico, l'entusiasmo per le tecnoscienze, ogni tecnologia che sembri confermare e rafforzare le libertà si sono infatti rivelati utili per riempire il vuoto ideologico con cui si è trovata improvvisamente a fare i conti la sinistra, e sono quindi stati accolti con favore dalle stesse persone che fino a poco tempo prima li guardavano con diffidenza.

I saggi qui raccolti tentano un percorso di taglio divulgativo, aperto anche al lettore non specialista. È una scelta di metodo, che rimanda alle singole ricerche svolte da ciascun ricercatore. Se il testo presenta un apparato ridotto, quindi, lo si deve alla volontà di cercare una via media tra studi rigorosi e una forma di scrittura più scorrevole. Questo volume vuol essere un'agile introduzione, che solleciti ad approfondire e comprendere la materia in modo appropriato, nello spirito di altre iniziative già svolte.

Certamente le lettura di questi saggi può contribuire a costruire una nuova consapevolezza delle questioni bioetiche, a renderle più comprensibili ai non addetti ai lavori, e soprattutto a far capire che non sono problemi da demandare agli «esperti», cioè agli scienziati, ma che possiamo e dobbiamo affrontarli tutti. La scienza, infatti, non è un'etica e non basta che una scoperta sia superficialmente attraente per renderla moralmente accettabile o raccomandabile; serve una profonda riflessione in proposito, che non può non affondare le radici anche nel nostro passato.

Lucetta Scaraffia (Torino 1948) insegna storia contemporanea all'Università di Roma La Sapienza. Si è occupata soprattutto di storia delle donne e di storia del cristianesimo, con particolare attenzione alla religiosità femminile. La sua opera più recente è Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia, con M. Pelaja, Laterza, 2008. È membro del Comitato nazionale di bioetica. Insieme con monsignor Timothy Verdon e Andrea Gianni fa parte del direttivo dell'associazione Imago Veritatis. L'arte come via spirituale, che ha organizzato la mostra presso la reggia di Venaria Reale (Torino) Il Volto e il corpo di Cristo. Collabora con «L'Osservatore Romano», «Il Foglio», «Il Sole24ore», «Il Riformista» e con diverse riviste.

I ricercatori coinvolti fanno infatti parte di un'unità di ricerca finanziata dal CUC (Centro universitario cattolico), cui vanno i ringraziamenti di tutti i partecipanti. Emanuele Colombo insegna Storia della Chiesa alla DePaul University, Chicago. Giulia Galeotti collabora con il Dipartimento di Studi storici dell'Università di Roma «La Sapienza». Lorenza Gattamorta è ricercatrice di Sociologia dei processi culturali presso l'Università di Bologna. Andrea Possieri collabora con il Dipartimento di Scienze storiche dell'Università degli Studi di Perugia. Francesco Tanzilli collabora con il Dipartimento di Storia dell'economia, della società e di scienze del territorio «Mario Romani» presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.
Dal libro

Il cambiamento di senso comune sui temi bioetici di Andrea Possieri

In modo non certo casuale, una delle più importanti pubblicazioni sulla storia delle donne - che ebbe l'ambizione di ripercorrere in cinque volumi il portato storico di una vicenda che spaziava «dall'antichità ai giorni nostri» - si concludeva con un saggio di Jacqueline Costa-Lascoux dal titolo paradigmatico: La donna, la procreazione e la bioetica. Quello scritto, che ripercorreva sinteticamente «una storia già vecchia» iniziata con i primi esperimenti di fine '700, metteva in luce come la procreazione «assistita» avesse ormai sconvolto «valori, credenze e rappresentazioni» ritenute fino ad allora «inviolabili», investendo direttamente sia il legame biologico nei rapporti di filiazione che una determinata visione dell'uomo e della donna rimasta sostanzialmente immutata per secoli. La fecondazione artificiale, infatti, separando la «sessualità dalla riproduzione», «il concepimento dalla filiazione», «la madre biologica» dalla madre «portatrice» e da quella «educatrice» aveva fatto irruzione, prepotentemente, nella vita delle coppie e degli individui che, sempre più, esprimevano il «desiderio» di avere un figlio o addirittura «il diritto a un figlio».

A cavallo tra il 1989 e il 1990, grossomodo nello stesso periodo in cui veniva scritto il saggio di Costa-Lascoux, Livia Turco su «Critica Marxista» e Claudia Mancina su «Rinascita», le riviste teoriche del Partito comunista italiano, sottolineavano la centralità che avevano assunto le tematiche bioetiche - «relative a trapianti, fecondazione artificiale, interventi sugli embrioni, eutanasia e aborto» - nel processo «di ricodificazione complessiva» dell'intera società e auspicavano il «ruolo particolarmente significativo» che avrebbe potuto svolgere «la cultura e l'elaborazione delle donne» attraverso, ad esempio, il pensiero della differenza sessuale. Il terreno sul quale si era maggiormente dilatata la sfera della libertà femminile era stato, infatti, secondo questo ragionamento, quello della sessualità e della procreazione che aveva rotto, sin dall'inizio, «una concezione organicistica della famiglia» in nome della quale «l'individuo-donna» era stata, per secoli, «soggetta al vincolo della riproduzione della specie».

Questi tre differenti interventi - che si inserivano in un contesto storico caratterizzato dalla crisi irreversibile delle ideologie salvifiche del '900 - rimandavano a una lunga serie di interrogativi morali che, partendo dallo sviluppo sempre più invasivo delle tecnoscienze, si ripercuotevano su una nuova definizione di maschile e femminile e, di conseguenza, sulla nozione naturale e/o culturale di famiglia; una serie di questioni decisive che in quel particolare tornante storico stavano trovando una prima sistemazione scientifico-disciplinare ma che, in realtà, avevano già assunto una dimensione politico-culturale soprattutto a partire dagli anni '70, da quando cioè il «corpo della donna» era emerso nel discorso pubblico delle società occidentali con tutta la carica simbolico-rivoluzionaria impressagli dal movimento femminista.

Gli interventi di Turco e Mancina, infatti, al di là dell'aspetto teorico, comprendevano, ovviamente, anche una prospettiva politica: ovvero il tentativo di elaborare una nuova dimensione politico-culturale per un partito comunista in cerca di una nuova sintesi identitaria e sempre più caratterizzato da una progressiva crisi di iscritti e di consensi. La tematica della «differenza sessuale» che stava entrando, non senza difficoltà, all'interno della cultura politica del «nuovo PCI» rappresentava, per l'appunto, una delle nuove idee che la Sezione femminile del partito, guidata dal 1986 da Livia Turco, stava promuovendo in quella stagione, al tempo stesso tumultuosa e creativa, che avrebbe portato, tra il 1989 e il 1991, alla dismissione del PCI e alla nascita del PDS.

E proprio perché collocate al centro di questa stagione decisiva in cui il PCI - e con esso l'intera sinistra italiana ed europea - stava ridefinendo il proprio documento di cittadinanza, queste riflessioni assumevano un'importanza particolare. Un'importanza legata a quel complesso processo di rimodulazione e rimozione della cosiddetta identità comunista attraverso il quale alcune idee, comportamenti e valori del tutto estranei alla tradizione politica del movimento operaio iniziarono a sedimentarsi nella cultura politica del PCI - e delle successive formazioni politiche che avrebbero ereditato l'insediamento politico-sociale del partito gramsciano - fino a diventare, soprattutto a partire dalla metà degli anni '90, un tratto costitutivo di una nuova identità politica. Un'identità che, superando progressivamente la vecchia concezione storicistica e classista del movimento operaio, avrebbe utilizzato, sempre più, il concetto di razionalità laica fino a trasformarlo in una nuova bandiera identitaria.

Non a caso, Claudia Mancina, in quell'intervento del 1990, aveva denunciato che storicamente la «cultura della sinistra», sia nei suoi aspetti «tradizionali» che in quelli «modernizzanti», era sempre «apparsa generalmente impermeabile, con poche rilevanti eccezioni, ai temi etici». In altre parole, la filosofa deplorava che la cultura politica del PCI - e del costituendo «partito nuovo» che di lì a poco si sarebbe trasformato in PDS - non si fosse mai occupata in modo sistematico di questi temi perché schiacciata da una ideologia e da una filosofia della storia, il marxismo, che derubricava questo tipo di argomenti a questioni sovrastrutturali e come tali di second'ordine rispetto ai conflitti e alle contraddizioni della struttura economica.

Quest'affermazione che coglieva, al tempo stesso, un'esigenza politica contingente e un dato strutturale della realtà sociale, così come si stava ordinando all'indomani del crollo del muro di Berlino, era, però, solo parzialmente vera. Indubbiamente, l'azione politica del PCI non aveva mai assegnato, nei documenti ufficiali o nei momenti di identificazione collettiva, un ruolo importante ai temi bioetici perché, per l'appunto, del tutto estranei sia alla storia del movimento delle donne di estrazione marxista che alla tradizione del movimento operaio. E inoltre, il Partito comunista italiano, nelle due grandi questioni - divorzio e aborto - che avevano caratterizzato il dibattito politico-pubblico negli anni '70 e che avevano segnato l'emergere dirompente del dibattito bioetico nell'agenda pubblica del paese, sebbene avesse fornito un contributo di voti decisivo per l'esito dei due referendum, non era certamente stato tra i promotori di quelle battaglie ma ne aveva subito, per molti aspetti, le conseguenze non soltanto politiche ma anche e soprattutto culturali.

Tuttavia, almeno due elementi decisivi non venivano messi adeguatamente in luce nell'intervento della Mancina: innanzitutto, il fondamentale apporto in quelle battaglie di molte donne comuniste che, attraverso la cosiddetta «doppia militanza», si impegnarono contemporaneamente nel movimento femminista e nel partito; e poi il ruolo svolto da «Noi Donne», il periodico dell'Unione donne italiane, che proprio negli anni '70 raggiunse uno dei momenti di maggior diffusione della sua storia e contribuì non poco all'elaborazione e alla diffusione di una nuova cultura politica all'interno del tradizionale universo simbolico del movimento operaio. Questi due fattori, al di là di un diffuso giudizio storiografico che ha spesso marginalizzato il ruolo dell'UDI e della sua rivista 3, svolsero un ruolo decisivo nella «contaminazione» tra queste due culture politiche, quella femminista e quella comunista, inizialmente in contrapposizione, ma che attraverso un percorso accidentato e non sempre lineare finirono per incontrarsi proprio sul terreno, nuovo e inesplorato, dei temi bioetici.

Indice dell'opera 5 Introduzione 17 Il cambiamento di senso comune sui temi bioetici Andrea Possieri 73 L'eutanasia diventa cinema Lorenza Gattamorta 115 Concepire l'handicap Giulia Galeotti 157 Eugenetica e controllo delle nascite. Il caso di Margaret Sanger Francesco Tanzilli 201 Animazione dei corpi Emanuele Colombo

articolo pubblicato il: 07/05/2011

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