Scriveva Gianni Amelio di 8 e ½ come di un film antesignano di un genere "caro a tutti quei registi che hanno paura
dei generi e proprio per questo nessuno lo può praticare senza perdere la faccia. Di 8 e ½ - continua il cinefilo
direttore del Festival di Torino _ non si può tentare nemmeno una parodia : non si farebbe ridere, si cadrebbe nel
ridicolo" [1]. A queste parole, forse, Rob Marshall avrebbe dovuto dare ascolto prima di intraprendere l'avventura
poseidonica di Nine, adattamento dell'omonimo musical di Broadway ispirato al capolavoro del Maestro riminese.
Fellini non permise, già al tempo del suddetto, L'utilizzo del suo nome e del titolo del film, ma quando di mezzo ci
sono i sogni glamour di Hollywood, nulla si può fare per fermare lo scempio. Un antesignano ispirato al delirio
controllato di 8 e ½ furono le Stardust Memories di Woody Allen : bianco e nero limpido, mare in tempesta
all'orizzonte e destini amorosi sul filo del telefono, film-omaggio mai decollato per critica e pubblico, limitato dal suo
essere troppo cerebralmente freddo. E in questo si innesta bene una sottile analisi psicologica di Augusto Sainati che
prende avvio dalla citazione di una lettera del Maestro al fidato amico sceneggiatore Tullio Pinelli. Scrive Fellini,
durante le riprese di La dolce Vita, di temere che sia "tutto brutto, inutile e senza senso". Per Fellini _ sottolinea
Sainati _ questo "stato di incoscienza un po' fanciullesca che finisce per sfociare in una sorta di paura da notte prima
degli esami ha quasi un valore maieutico, serve a costituire un trampolino per la creazione e per il set"[2]. Una
maieutica che evidentemente non ha colto, non ha tintinnato nel quid creativo del regista statunitense a cui, dopo
l'ottima trasposizione del musical Chicago su grande schermo, non riesce il film dalle mille bandiere, come le
nazionalità delle numerose star interpreti : inglesi, spagnole, francesi, italiane, statunitensi. Un melting-pot che
mantiene importanti ingredienti separati, qui mai davvero mescolati, uniti. Il Guido-Fellini (un Daniel Day-Lewis che
preferiamo ricordare petroliere urlatore di "You_re just a bastard in a basket") è un regista alle prese con una crisi
creativa che si destreggia tra moglie, amanti, una madre (Sofia Loren) fantasma onnipresente, mariti traditi,
produttori, creditori, fan della prima ora. Tutta la vicenda ruota intorno ai rapporti del protagonista con ognuno di essi,
durante la lavorazione di un film che non vedrà mai il buio della sala cinematografica.
Pur essendo cuore centrale della pellicola, i pezzi musicali risentono in parte del difetto di voler riprendere, come
atmosfere, le situazioni già viste in Chicago, ma senza la verve dissacrante di una coreografia come quella vista
nelle scene del carcere. Interessante e trascinante, come una goccia nell'oceano, la coreografia della canzone Be
italian, che alterna l'incontro con la prostituta Saraghina sulla spiaggia allo studio di Cinecittà, luoghi interconnessi
dalla presenza di una sabbia fine e leggera. Lo storico Studio 5 di Cinecittà viene qui trasformato in una sorta di
luogo demoniaco, antro della bestia, piuttosto che lo spazio della creazione, la vera casa di Fellini, il luogo dove i
suoi sogni lisergici o meno divenivano realtà materica, si imprimevano sulla pellicola. Daniel Day-Lewis si impegna
come solo un attore dalla tecnica ormai personale può fare, ma resta invischiato nel "maledettismo" del personaggio,
senza riuscire a sottolineare l'amara ironia e il distacco del vero artista che impregnava viso, movenze e battute di
"Marcellino" Mastroianni. Il melodramma si insinua quindi nella storia e nell'atmosfera del film a partire dai primi
frames, il distacco maggiore è tutto qui.
Mai fuori ruolo, ma relegata in una confezione che non dà giustizia al suo metro recitativo, la Luisa-moglie di Guido,
interpretata da Marion Cotillard che si cimenta nella strampalata My husband makes movies, cantando e chiosando
su quanto la moglie di un regista debba essere una silenziosa compagna, un oggetto usa e getta nelle mani
dell'artista che tutto può alle donne. Ma l'attrice, premio Oscar per l'interpretazione di una struggente Edith Piaf,
mantiene corde recitative più sommesse, lavora di sottrazioni e rivela _ in una conferenza stampa affollatissima alla
prima romana _ di essersi ispirata alla moglie di Francis Ford Coppola e al suo intenso Heart of Darkness, il
documentario (che ha visto anche una uscita libraria con il titolo di Diario dall'Apocalisse) girato durante la
lavorazione di Apocalypse Now. Un documento che ben spiega il rapporto di amore-odio e nonostante ciò, di
continua complicità osmotica tra artista e moglie.
Tutto resta in superficie, in questo Nine, un universo italiano da cartolina pop, kitch, un neo-vintage riuscito male che
si riassume nelle sequenze aeree che riprendono il protagonista dirigersi verso un grand hotel delle romanissime
spiagge di Anzio, guidando sulle campanissime strade della Costiera Amalfitana
La creatività trasposta al cinema di All That Jazz, che già si ispirava in parte al capolavoro felliniano, è lontana anni
luce : nel film datato 1979 la vicenda autobiografica di Bob Fosse riusciva a trasmettere l'atto creativo attraverso le
energiche, scattanti coreografie e il tormentone di It_s show time ! , che il regista ripete ogni mattina di fronte allo specchio ingurgitando lo stimolante dexidrina. Qui ogni primadonna deve avere il proprio momento di fama e così il
film si rivela sempre più un amalgama reiterato di assoli delle prime attrici, da Nicole Kidman a Penelope Cruz,
passando per la Cotillard e Kate Hudson. Un patchwork dalla resa ordinata e senza continuità.
E se la pubblicità sempre più gestisce anche la creatività, utile per un film costato 80 milioni di dollari, che dire
dell'unica canzone originale del film, quel Cinema Italiano che condensa tutta l'operazione, un fastoso tentativo di
rendere omaggio al glamouroso nostro cinema, che nelle parole della canzone rivela l'amore per il nostro
neorealismo ( !), ma che nelle immagini, nelle movenze e nei costumi di Kate Hudson e dei ballerini ricorda più uno
spot della Martini (sponsor, non a caso del film) che l'universo felliniano di harem folle e leggiadro. Fellini, parlando di
8 e ½, sottolineò con gusto del paradosso su quanto girarlo non gli fosse "costata nessuna fatica". Marshall, visto lo
sforzo dello sfarzo del film , qualche fatica deve averla pure provata, ma a che pro ? L'ex ballerino-coreografo ora _
rivela Bruckheimer _ si concentrerà sul nuovo episodio della saga dei Pirati dei Carabi, On Stranger Tides. I balletti
sulle marce assi di legno di velieri alla deriva forse gli saranno più congeniali.
[1]. Gianni Amelio, Il vizio del cinema. Vedere, amare, fare un film, Einaudi Stile Libero 2004, pag. 274
[2]. (a cura di) Augusto Sainati, Federico Fellini. Ciò che abbiamo inventato è tutto autentico. Lettere a Tullio Pinelli,
Marsilio Editori 2008, pag.77
(Nine) Regia e coreografie : Rob Marshall ; sceneggiatura : Michael Tolkin, Anthony Minghella ; fotografia : Dion
Beebe ; montaggio : Claire Simpson, Wyatt Smith ; scenografie : John Myhre ; musica : Andrea Guerra ; interpreti
: Daniel Day-Lewis (Guido Contini), Penelope Cruz (Carla), Marion Cotillard (Luisa Contini), Nicole Kidman (Claudia),
Judi Dench (Lilli), Sophia Loren (madre di Guido), Kate Hudson (Stephanie), Stacy Ferguson "Fergie" (Saraghina),
Sandro Dori (Pappalardo), Ricky Tognazzi (Dante), Giuseppe Cederna, Elio Germano, Roberto Nobile, Valerio
Mastandrea, Remo Remotti, Martina Stella, Monica Scattini, Roberto Citran, Andrea Di Stefano ; produzione : The
Weinstein Company, Relatività Media ; distribuzione : 01 Distribution ; origine : USA/Italia ; durata : 121_ ; webinfo
PER GENTILE CONCESSIONE DELL'AUTORE E DELLA RIVISTA CLOSE UP
articolo pubblicato il: 25/01/2010