Regia: Tonino Zangardi
Interpreti: Valeria Golino, Rodolfo Laganà, Noah Scialom, Marilin Hadzovic
Con "Prendimi e portami via" Tonino Zangardi affronta uno dei più roventi temi della realtà contemporanea (non solo) italiana qual è l'intolleranza verso civiltà e patrimoni di conoscenze diversi.
Il regista riesce a palesare le varie motivazioni a monte della diffusa piaga sociale e le personifica nel violento barman, che fa della sua pistola lo stendardo di un terrorismo ideologico agghiacciante, nell'imprenditore puerile e assiduo giocatore d'azzardo, che rovescia su gli zingari il suo male di vivere, ed in una buona parte di popolazione fatua, condizionabile, ma soprattutto ignorante, incapace di abbandonare la sua sterile e comoda inedia di pensiero scaturita dalla ferrea aderenza ad insipidi luoghi comuni.
Sullo sfondo di questa buia ed attuale prospettiva sociale, unica via di fuga la sincera purezza di due bambini, legati da un profondo quanto ingenuo amore, in grado di valicare una percepibile però ininfluente differenza etico-culturale, dimostrando con candore la loro estraneità a quell'atteggiamento ottuso e sciovinista, tipico del mondo "dei grandi", sgorgante da un torbido intreccio di rabbia, insoddisfazione, pretese e delusioni.
Del tutto scevra da questo modus vivendi si mostra, tuttavia, Luciana (magistralmente interpretata da Valeria Golino), pittrice e madre apparentemente assente, stanca del pressappochismo del marito (il bravo Rodolfo Laganà), senz'altro discosto dal razzismo dei più stupidi, ma eccessivamente timoroso nei confronti di ciò che si mostra non conforme alla routine e troppo attento alle dicerie della gente.
Seguiamo così le vicende della donna, reclusa in una materialità che non le si addice e la porta ad aggrapparsi alla sensibilità di un uomo che apprezza la sua arte, e dei piccoli innamorati, descritti con un tratto enfatizzante le indubbie disparità caratteriali: Romana, teatrale ed esplicita, progetta il loro matrimonio ed il loro futuro, mentre Giampiero, timido ed innocente, si lascia trasportare e cerca di assecondare l'altra, pure se a volte contro la sua volontà .
Entrambi sono ritratti, però, pregni di un profondo ottimismo, o forse sarebbe meglio dire lontani anni-luce da quella condotta rassegnata e sottomessa agli ingombri dell'esistenza propria degli adulti, segnati e marchiati da un più pesante bagaglio d'esperienze non sempre appaganti; tale verginità cognitiva, polla d'una immatura ma sana visione della vita, si mostra loro essenziale fonte d'energia e risoluzione nei frangenti più difficili, anche se in alcuni momenti pare possa vacillare.
Paradigmatica la reazione quasi indifferente di Giampiero quando si reca nell'accampamento dell'amica: non prova, infatti, sdegno o diffidenza per quella condizione quotidiana tanto inconsueta e totalmente difforme dalle sue abitudini; diverso è, invece, l'effetto che ha su Romana la percezione di un cosmo stabile e sicuro, più conforme alle sue volontà ed aspettative, che fomenta il desiderio d'evasione ed il sentimento di tacita e velata ribellione.
L'autore esprime in questo modo la coscienza della ragazzina, segregata in una ambiente soffocante e confinante, senza, tuttavia, abbandonare i suoi sogni e le sue chimere; è qui che si viene a creare una specie di simmetria tra il suo disagio interiore e quello di Luciana, ambedue inappagate sebbene in contesti assolutamente antitetici.
E' da sottolineare come nel film non siano espressi giudizi sulla natura degli abitanti dell'uno o dell'altro "habitat culturale", anzi è evidenziata la presenza, in entrambe le civiltà, di cattiveria, disonestà e depravazione: ricordiamo,ad esempio, il manesco zio-gitano che pretende la nipote come moglie per aver vinto alcune partite a poker, il cui carattere è analogo a quello del brutale barista che tenta di stuprare Luciana.
Non a caso nel lungometraggio compaiono due incendi dolosi, sintomi di inciviltà e barbarie, appiccati da ignobili esponenti di ambo gli schieramenti sociali; si noti come prosegua quella sorta di becero e selvaggio parallelismo comportamentale tra i turpi zingari capaci di picchiare duramente un bambino e l'immorale commerciante che non esita a colpire disumanamente una ragazzina in cerca d'elemosina.
Ma Zangardi non si esime dal disegnare anche eroi conformi ai principi morali universalmente accettati, appositamente individuati in madri e bambini, portatori di valori che dovrebbero essere insiti nella natura umana, quali amore incondizionato e lealtà, di cui troppo spesso si avverte la scarsezza.
Particolarmente emblematica l'ultima sequenza, in cui Romana e Giampiero, fuggiti dalla roulotte del perfido zio, corrono lungo la spiaggia, meta bramata dai primordi della loro amicizia, simbolo di libertà e liberazione: quello che ad un occhio disattento parrebbe un finale inconcludente, è invece la proiezione delle utopie proprie dell'incontaminazione e della semplicità caratteristiche della mente di un bambino e che, talvolta, riescono a prevalere sul marciume del mondo reale; contemporaneamente lo spettatore può intuire una prossima riconciliazione tra Luciana ed il marito, ulteriore richiamo alla corrispondenza tra la vita della donna e quella della piccola Rom.
"Prendimi e portami via" è un film realista eppure fiducioso, in cui lo sguardo disincantato del regista, che mostra coraggiosamente le sue opinioni, si posa sulle scenografie di un paese malato seppur non privo d'aspettativa di guarigione; la pellicola, scortata da un'appropriata colonna sonora, serba lo charme d'una narrazione concreta, permeata da nuance di frequente cupe, ma che non impediscono di raggiungere apici luminosamente colorati d'un verde speranza, pienamente fiducioso di un avvenire migliore.