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di Vittorio Sordini

Non credo che sia possibile dimenticare che la crisi del 2008 è partita per il cattivo funzionamento del sistema finanziario: è finito sotto la lente tutto il Sistema Bancario a livello mondiale.

Lo sforzo congiunto di tutte le Autorità in campo ha scongiurato il Crack. E' stato uno sforzo estremamente oneroso e per fortuna di tutti sembrerebbe aver sortito gli effetti sperati. Tuttavia è molto ragionevole pensare che non potrà essere ripetuto nel breve/medio termine. E'ragionevole pensare che nella "Santa Barbara" ormai lo spazio abbonda ed è tempo di ricostituire le scorte. Sarebbe veramente grave se le fibrillazioni e gli accorati appelli delle prime ore, seguiti dai fatti che ci scorrevano sotto gli occhi, non avessero lasciato traccia nelle coscienze.

La crisi è partita dal Sistema Bancario: si sono chieste a gran voce regole nuove, si sono rimpallate le responsabilità dei controlli, ma in concreto che cosa sta avvenendo? Volendo e dovendo rimanere a casa nostra, possiamo affermare con certezza che il Sistema ha reagito molto meglio che in altre nazioni, tuttavia è chiara la necessità di un massiccio intervento sulla struttura patrimoniale delle Banche anche e soprattutto per il fatto che le risorse per un eventuale secondo round saranno molto difficili da reperire.

A questo punto è impossibile non porre attenzione ad uno degli strumenti messi a disposizione dal Governo: i cosiddetti "Tremonti Bond". Purtroppo in Italia il vizio di sintetizzare con uno pseudonimo non muore mai e spesso capita che il significato letterale dello pseudonimo trovato per l'occasione sia molto lontano, se non addirittura il contrario, del significato reale.

E' il caso dei Tremonti Bond, che non sono delle obbligazioni emesse dal Governo, bensì delle obbligazioni emesse dalle banche la cui sottoscrizione è riservata al Governo a certe condizioni. Condizioni che sono chiaramente indicate nel decreto anticipato con il comunicato stampa del Ministero del Tesoro e dell'Economia del 25 febbraio 2009.

Chi lo leggesse apprenderebbe che le Banche:
A)pagheranno una cedola annuale compresa tra il 7,5% e l'8,5% per cento per i primi anni, per poi crescere gradualmente;
B)si impegneranno a favorire il credito alle imprese, soprattutto piccole e medie, e alle famiglie.
Più specificatamente, gli impegni che il Tesoro richiede sono:
a) il contributo finanziario per rafforzare la dotazione del fondo di garanzia per le PMI;
b) l'aumento delle risorse da mettere a disposizione per il credito alle piccole e medie imprese;
c) per i lavoratori in cassa integrazione o percettori di sussidio di disoccupazione, la sospensione del pagamento della rata di mutuo per almeno 12 mesi;
d) la promozione di accordi per anticipare le risorse necessarie alle imprese per il pagamento della cassa integrazione;
e) l'adozione di un codice etico.

A prima vista per chi non è addetto ai lavori, o per chi si sente addetto ai lavori, ma non ha mai avuto voglia e/o la capacità di approfondire, il tasso indicato sembrerebbe un tasso da usura, perché potrebbe essere portato erroneamente a effettuare una comparazione con quelli che vengono definiti tassi di mercato (quelli pagati per i vari servizi e rapporti bancari)(euribor-più- spread)/(euribor -meno-spread).

In realtà le cose non stanno così, ma per capirlo è necessario anzitutto addentrarsi nei meccanismi finanziari del funzionamento di una banca. Ammettiamo di essere uno strozzino che ha messo da parte una certa sommetta, diciamo 10 milioni di euro. Decidiamo di prestarli a un po' di imprese, diciamo al 7%: alla fine dell'anno quindi ci verranno restituiti €10.700.000, e sottraendo i 10 milioni investiti, che andiamo a recuperare, avremo fatto 700.000 euro di interessi, che saranno il nostro utile. (notate che se li avessimo investiti in titoli di stato al 3% il nostro utile -sempre tralasciando il capitale di 10 milioni restituito alla scadenza- sarebbe stato di €300.000; quindi possiamo dire che prestare denaro a privati invece che allo stato ci ha fruttato €400.000 in più, che non è poi 'sto granché, se consideriamo il rischio che qualcuno non ci restituisca i soldi: questo, tra parentesi, spiega perché gli strozzini pratichino tassi da strozzini.)

Ammettiamo ora di avere una maggiore rispettabilità, e di fondare una banca, nella quale mettiamo solo €5.000.000, mentre €5.000.000 ce li facciamo prestare da altre banche o addirittura ce li ritroviamo in casa, versatici dai nostri correntisti; ipotizziamo infine che il costo di questo milione che ci viene prestato sia il 4%.

Alla fine dell'anno avremo sempre i nostri 700.000 euro di ricavi, da cui dovremo togliere €200.000 di interessi che dovremo pagare su i 5 milioni che abbiamo preso in prestito. La differenza è di €500.000, che rispetto ai 5 milioni che abbiamo impiegato ci dà un utile del 10%. Ricorrere all'indebitamento quindi ha incrementato i nostri utili!

Ammettiamo adesso di essere *maggiormente* aggressivi e mettere solo €500.000 nostri, e €9.500.000 presi in prestito o comunque raccolti, che ci costino sempre il 4%. a fine anno avremo i soliti €700.000 di ricavi, cui dovremo sottrarre € 380.000 per gli interessi sul debito. La differenza è di €320.000, che rispetto ai 500.000 che abbiamo investito ci dà un rendimento del 64%!

E' quindi evidente che meno soldi mettiamo rispetto a quelli che prendiamo in prestito, più il nostro investimento renderà; e dato che quel rendimento è quello con cui si pagano i dividendi agli azionisti, è chiaro che sulla base di questo ragionamento qualunque banchiere vorrebbe ridurre al minimo il rapporto tra il patrimonio (i soldi degli azionisti) e il debito oppure, il che è lo stesso, massimizzare il rapporto tra debito e patrimonio: rapporto che comunemente è chiamato leva finanziaria.

Il problema è che aumentando la leva aumentano i rendimenti, ma aumentano anche i rischi. Ipotizziamo infatti che uno dei clienti ai quali abbiamo prestato il denaro, diciamo €400.000, non ce lo renda più, e quindi i nostri ricavi alla fine dell'anno non siano i famosi €10.700.000 (di cui 10 milioni di rimborso del capitale e 700.000 di interessi) bensì solo € 10.300.000.

Se siamo lo strozzino (leva = 0), il nostro utile si è ridotto a €300.000, vale a dire il 3% di 10 milioni. Se siamo il banchiere prudente (leva = 1), dobbiamo sottrarre ai € 700.000 di ricavi gli €200.000 di interessi sul debito (non possiamo mica dire che non li paghiamo perché uno dei nostri clienti ci è saltato!), e quindi il nostro utile scende a €100.000, vale a dire il 2% (meno dei famosi titoli di stato di cui si era ipotizzato). Se siamo il banchiere aggressivo (leva = 19), dobbiamo sottrarre ai €700.000 di ricavi addirittura €380.000 di interessi da pagare: ne risulta che abbiamo una perdita secca di €80.000, pari al 16%: non solo non abbiamo guadagnato, ma addirittura abbiamo perso.

Ecco il motivo per cui il banchiere prudente non può permettersi una leva troppo elevata: perché è troppo rischiosa.

Ma la leva elevata non è un rischio solo per il banchiere e gli azionisti: lo è anche per l'economia in generale: infatti come abbiamo visto il banchiere aggressivo ha perso dei soldi; e se ne avesse persi troppi, non avrebbe avuto di che ripagare i debiti. Detto in modo spiccio: di che restituire i soldi ai correntisti.

E' per questo che in tutti i sistemi bancari sono previste delle regole di vigilanza, che definiscono esattamente quanto deve essere il valore massimo della leva ammissibile o, che è lo stesso, la percentuale minima di patrimonio che la banca deve avere a copertura del rischio che taluni crediti diventino inesigibili.

In Italia l'autorità di vigilanza è la Banca d'Italia, e la relativa normativa è pubblicata sul suo sito in forma di due circolari circa, una del 1999, più volte aggiornata, e una del 2006 che recepisce la normativa cosiddetta "Basilea II".

Ma torniamo al nostro esempio: abbiamo visto che se le cose vanno bene, o perlomeno vanno non troppo male, il patrimonio ha un rendimento superiore rispetto al debito: e ciò è ben comprensibile, in quanto chi investe in patrimonio affronta un rischio ben superiore rispetto a chi presta i soldi a debito.

Chi fa controllo di gestione considera infatti che il costo "standard" per il patrimonio sia attorno al 9%: vale a dire che considera che i soldi che sono "di proprietà" della banca (e che in effetti sono dei suoi azionisti) debbano produrre un interesse del 9%: che beninteso non sarà un vero e proprio interesse, bensì quanto sarà distribuito a fine anno in forma di dividendi (o come aumento del valore dei titoli azionari) agli azionisti.

Lo scopo dei Tremonti Bond è quello di migliorare il coefficiente di solvibilità delle Banche scongiurando l'ipotesi che per raggiungere lo stesso risultato le Banche stesse siano tentate di ridurre il credito, facendo mancare la necessaria liquidità alle imprese ed alle famiglie in questo delicatissimo momento della dinamica della crisi.

Il richiamo all'adozione di un codice etico è inoltre foriero dell'introduzione di una qualsivoglia attenzione ai compensi dei Manager del settore bancario. Ecco, quindi, le motivazioni di tutte le discussioni sui Tremonti Bond: a chi non fa comodo fruirne?

Possiamo rischiare che, per non utilizzare i Tremonti Bond, per esse comunque onerosi dal punto di vista normativo, le banche tentino altre strade per migliorare il coefficiente di solvibilità a danno del credito verso le imprese e le famiglie? Un altro errore nella gestione del sistema bancario potrebbe essere fatale.

Recentemente si è visto che esiste un certo orientamento verso gli aumenti di capitale; cioè viene chiesto agli azionisti di mettere le mani in tasca e tirare fuori più soldi per aumentare il patrimonio.

Anche questa operazione è tuttavia onerosa: per capire quanto sia onerosa sono necessari dei complessi ragionamenti: gli analisti azzardano ipotesi sulla base di dati che arrivano dai vertici aziendali. Nel caso di Unicredito recentemente è stata riportata la seguente notizia: " UNICREDIT - Aumento di capitale preferibile
Websim - 23/09/2009 09:29:20

FATTO
Nel comitato strategico di Unicredit (UCG.MI) tenuto ieri sono state presentate le diverse opzioni per la ricapitalizzazione della banca. Una scelta definitiva sarà presa in occasione del consiglio della settimana prossima, martedì 29 settembre.

EFFETTO
Le alternative più probabili rimangono un aumento di capitale o l'emissione di bond sottoscritti dallo Stato. Perde invece visibilità la possibile emissione di strumenti ibridi non computati a Core Tier1. L'ammontare complessivo della manovra è sempre di 4 miliardi eu, che porterebbe il Core Tier1 vicino all'8%.

Secondo la stampa, la reazione delle fondazioni all'ipotesi di aumento di capitale sarebbe meno fredda di quanto ci si potesse aspettare. L'aumento di capitale potrebbe avere luogo con uno sconto sul prezzo di Borsa al lordo della cedola del 20/30%, ovvero a 1,70-1,95 eu per azione. Sulla base di tali valori l'effetto negativo stimato sugli utili del 2011 sarebbe rispettivamente del 6% e del 4,5%.

L'opzione aumento di capitale secondo noi sarebbe decisamente preferibile rispetto all'emissione di Tremonti bond, per quanto in una prima fase potrebbe comportare un po' di debolezza sul titolo. La nostra raccomandazione sul titolo è NEUTRALE, con un target di 2,40 eu.
www.websim.it

Questo è un altro elemento di giudizio che affranca la tesi che il tasso previsto dai Tremonti Bond non può essere considerato un tasso da strozzini. Mentre la missione di salvaguardia della stabilità dei mercati finanziari è cosa assai importante.

articolo pubblicato il: 24/09/2009

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