USA 2004
Regia: Mel Gibson
Sceneggiatura: Benedict Fitzerald, Mel Gibson
Protagonisti:James Caviezel (Jesus), Maia Morgenstern (Maria), Monica Bellucci
(Maddalena), Hristo Naumov Shopov (Pilato), Claudia Gerini (Claudia)
Durata: 127'
Genere: dramma
Censura USA: Restricted
Dall'orto degli ulivi alla morte in croce, con un accenno alla Resurrezione.
La Passione di Cristo attimo per attimo.
La passione di Cristo.
Protagonisti: Gesù il Cristo e il diavolo.
Coprotagonisti: Maria madre di Gesù e lo spettatore.
Presenti anche lo Spirito Santo che si libra, nelle sembianze di colomba,
negli spazi aperti sopra il portico del Pretorio ed il Padre, di cui
scorgiamo una lacrima che cade sul Golgota al momento del trapasso del Figlio.
Ovviamente vi sono tanti altri personaggi nel film: i membri del Sinedrio,
Ponzio Pilato, sua moglie, i soldati romani, Veronica, il Cireneo, la folla
anonima, gli apostoli, ma tutti loro o non sanno o sapendo non comprendono
pienamente quello che sta realmente accadendo: un intervento soprannaturale
sui destini dell'umanità e la sconfitta dell'Antagonista (che in una delle
sequenze finali lancia un urlo agghiacciante, come di animale ferito a morte).
Solo Maria sa e comprende tutto.
Per questo il suo volto, pur affranto per le torture inflitte a suo figlio,
non è angosciato come accade invece per la Maddalena. In una delle
inquadrature finali, Maria tiene fra le braccia il corpo ormai inerme del
figlio e guarda direttamente verso lo spettatore, come a voler trasferire a
noi la sua testimonianza. Ora, non possiamo più dire di non sapere.
Mel Gibson imposta fin dall'inizio, nella sequenza dell'orto degli ulivi, il
triangolo di forze che costituisce la tensione drammatica del racconto. Il
diavolo si appresta ad insidiare Gesù, che si aggira senza pace fra gli ulivi
invocando suo Padre. Il diavolo non ha il potere di agire sugli eventi ma è
sempre vigile, pronto ad insidiare chi è dubbioso: accade per Giuda, per
Pietro ed ora, alle spalle di Gesù, insinua che "non vi è alcuno che possa
sostenere tutto il peso dei peccati degli uomini. Salvare le loro anime è un
costo troppo alto". Ma Gesù si scuote quasi avesse ripreso piena coscienza,
dopo l'insistenza del diavolo, dell'importanza della sua missione; si alza e
si appresta ad affrontare il drappello delle guardie del tempio che sta
arrivando. Termina così l'unico momento riflessivo del film; tutto quel che
segue è azione, una sequenza concatenata di dolorosi accadimenti per Gesù (e
per lo spettatore che li osserva) affinché tutto sia compiuto.
Il film è organizzato su più sequenze, come le stazioni della Via Crucis ed
anche le tecniche di ripresa sono diverse. Nell'orto degli ulivi prevale una
livida luce bluastra , la visibilità è limitata da una tenue foschia che
crea un'atmosfera carica di presenza misteriose . Nella scena notturna del
colloquio davanti al Sinedrio prevalgono i forti contrasti, con prevalenza di
ocra e marrone, di chiara ispirazione Caravaggesca. Durante la salita verso il
Golgota la camera tenuta a mano oscilla continuamente fra Cristo e la folla
urlante, a sottolineare un senso di stordimento e di confusione. Durante la
crocifissione prevalgono i primissimi piani, i dettagli del triste lavoro dei
soldati, per poi sfondare, quando tutto è compiuto, su un piano lungo
ripreso dall'alto, quasi una soggettiva del Padre.
Tanti altri film si sono ispirati al racconto dei Vangeli. La maggior parte di
essi ha sviluppato la storia di Gesù al completo (autorevole eccezione è
Golgota di Julien Duvivier -1935, che inizia dalla domenica delle Palme);
questa soluzione si è rivelata necessaria per costruire la parabola emotiva
che partendo dall'attenzione del Cristo verso gli ultimi, gli infermi ed i
peccatori (i miracoli, le parabole) arriva poi all'atto culminante, il dono
di sé sulla croce. Molti hanno anche raccontato ciò che avviene dopo, fra la
resurrezione e l'ascensione, a sottolineare il mandato degli apostoli e la
continuità della protezione divina (il Gesù di Zeffirelli-1976 è quello che
con maggior ispirazione ha sviluppato questo momento).
Mel Gibson invece racconta solo le ultime 12 ore di Gesù perché ha un
obiettivo molto focalizzato: rivolgersi a chi è credente, scuoterlo e
chiamarlo a raccolta con una forte scampanellata. In un film finalmente non
politically correct, non annacquato da compromessi per accontentare una
audience più ampia (quale produttore hollywoodiano avrebbe accettato di fare
un film dove si parla in latino ed in aramaico?) , Mel spazza via troppi
secoli di immagini edulcorate, di santini che avevano estenuato il
significato di ciò che realmente è stata la flagellazione e la
crocifissione di Cristo. Il senso di realismo è raggiunto in pieno. Quando
Gesù cade lungo la salita verso il Golgota, cade perché lo sentiamo anche noi
realmente affaticato per le torture subite. Per chi crede, lo strazio della
violenza su l'innocente Gesù è moltiplicato dal vedere in lui il Figlio di
Dio. Lo shock non può che essere benefico: egli torna a accostarsi
all'Eucarestia con maggiore coscienza del sacrificio che l'ha resa efficace e
prende a guardare il crocifisso con occhi nuovi.
La lunga agonia del Cristo è attenuata da richiami ai momenti più sereni
della sua predicazione: l'ultima cena, il discorso della montagna, la lavanda
dei piedi. Molto belli quelli dove Maria è protagonista: sono pura invenzione
di Mel ma perfettamente inseriti nel contesto; come quando Maria accorre verso
Gesù caduto sotto il peso della croce, per soccorrerlo come faceva quando,
bambino, cadeva e si faceva male a un ginocchio (vediamo la scena in
flashback). Maria le dice semplicemente "sono qui!" ("Non hanno più vino!"
aveva detto in un'altra occasione: fra loro bastano poche parole per
intendersi). Gesù risponde in modo altrettanto sorprendente "vedi, madre,
faccio nuove tutte le cose!". Il tono usato è quello, quasi a ricollegarsi
anche lui ai ricordi dell'infanzia, di quei bambini che vanno dalla madre
tutti orgogliosi a dire: "guarda mamma come sono bravo!" ma ora Gesù lo dice
sopratutto per farle coraggio , per ricollocare la sofferenza, quella che
c'è stata e quella che sta per arrivare, nella sua prospettiva trascendente.
Molti registi ci hanno raccontato la vita di Gesù appunto come registi, cioè
come bravi professionisti intenti a rendere nel modo migliore la storia che
avevano fra le mani. Perfino Pasolini, pur con la sua forte personalità
artistica, che era stata capace di trasfigurare la scenografia tradizionale e
che per primo aveva scelto una rappresentazione realistica, si era rivolto
al vangelo secondo Matteo con controllato rispetto. Mai come questa volta,
dietro la "Passione di Gesù" si intravede un autore che è "entrato dentro" la
storia, che vi ha trasferito tutta la sua fede appassionata.
E' tempo di parlare della violenza contenuta nel film.
Diciamo subito che non ci troviamo di fronte alla violenza che recenti film
ci hanno presentato: mi riferisco in particolare al filone splatter, di cui il
più autorevole rappresentante è stato Kill Bill (2003): in questi
l'iperrealismo della violenza trae chiaramente ispirazione da i fumetti
giapponesi, dove il sangue scorre a fiumi, tra teste e braccia mozzate .
Personalmente non concordo con quanti ritengono che Gibson si è affidato alla
moda "espressionista" del momento: si tratta invece di un autore che ha
liberamente scelto il modo più idoneo per trasmettere il suo messaggio.
Qui la forza emotiva della violenza sta nell'approccio realistico che il
regista ha voluto dare alle scene, complici sopratutto due fattori: la scelta
di guardare ciò che accade dal punto di vista degli aguzzini ed il fattore
tempo. Il soldati romani debbono compiere un lavoro che hanno fatto altre
volte: punire e giustiziare un colpevole. In questo modo Cristo viene
oggettivizzato, diventa un corpo. Quando si accorgono che una prolungata
flagellazione con le verghe ancora non ha fiaccato il condannato, passano a
selezionare un nuovo strumento di tortura. Trovano con soddisfazione la
scelta giusta: un flagello con fettucce di cuoio con agli estremi pezzi di
osso, in grado di asportare interi brandelli di carne. Quando lo debbono
inchiodare alla croce, si accorgono che stendendo il braccio il palmo della
mano non combacia con il buco già predisposto nel legno. Dopo un momento di
imbarazzo, risolvono il problema: in due stirano il braccio fino a slogarlo.
Anche il fattore tempo è importante: allo spettatore pare di assistere alla
flagellazione ed alla crocifissione nello stesso tempo in cui avviene, perché
nessuna elissi, nessuno sconto gli viene concesso. Se i chiodi da conficcare
sono tre, noi per tutti e tre sentiamo quattro, cinque inesorabili colpi di
martello, finché il chiodo non trapassa anche il legno e dalla punta stillano
gocce di sangue. Proprio grazie alla bravura del regista che mantiene le
scene nell'ambito di un rigoroso realismo, l'impatto emotivo sullo
spettatore è molto superiore alla violenza di Kill Bill, che è così iperbolica
da allontanarsi da ogni riferimento reale e che alla fine ci fa solo
sorridere.
Per questo motivo mai come questa volta, il nostro suggerimento sul pubblico
adatto non ha un confine dettato dall'età ma dall'impressionabilità: anche
alcuni adulti potrebbero non sostenere la visione di torture su di
un'innocente. I genitori dovranno decidere, riguardo ai loro ragazzi
adolescenti, chi può serenamente inquadrare la violenza rappresentata nel
contesto più profondo che le viene dato in questo film. La censura italiana
ha decretato che il film è per tutti. E' un caso di coerenza nell'errore: se
Gangs of New York, così terribilmente violento, era passato senza restrizioni,
questo film andava almeno qualificato come non adatto ai minori di 14 anni.
(i riferimenti ai dialoghi sono tradotti dalla versione originale in inglese)
(Per gentile concessione di www.familycinematv.it)