Il 24 marzo di dieci anni fa la NATO dava inizio ai bombardamenti sull'allora ancora esistente Federazione iugoslava, sia pur ridotta alla Serbia ed al Montenegro (bisognerà attendere qualche anno prima che il Montenegro proclami la sua indipendenza).
I bombardamenti, secondo le speranze, sarebbero dovuto durare due o tre giorni, ma proseguirono per più di due mesi, dato che nessuno nei comandi militari occidentali aveva voglia di sferrare un attacco di terra che avrebbe avuto un costo in vite umane, tra i soldati impegnati, decisamente alto.
Si trattò della prima operazione militare NATO contro uno stato indipendente (il ricorso all'ombrello ONU fu scartato per prevedibili veti da parte di Russia e Cina). Le voci che normalmente si levano in Italia ogniqualvolta è in corso una guerra in cui, in un modo o nell'altro, sono coinvolti gli Stati Uniti, in quell'occasione furono piuttosto flebili; non si videro bandiere arcobaleno alle finestre, come si vedranno poi in modo massivo in occasione della Seconda Guerra del Golfo, e l'opposizione politica più decisa la fece la lega di Bossi, a quel tempo in posizione autonoma rispetto al Polo. I Comunisti Unitari di Cossutta e Diliberto addirittura appoggiarono il Governo.
Il fatto era che Presidente degli USA era il democratico e kennediano Clinton e che per la prima volta a palazzo Chigi sedeva un ex comunista, nella fattispecie Massimo D'Alema.
I bombardieri partivano dagli aeroporti italiani (in un secondo tempo anche da quelli ungheresi) e malgrado che, secondo l'antico vezzo italico di tirare il sasso e nascondere la mano, si parlasse di mero appoggio logistico, ben presto si venne a sapere che anche politi militari italiani avevano partecipato ai bombardamenti. Il solito segreto di Pulcinella.
I problemi nel Kosovo erano iniziati dieci anni prima, nel 1989, quando Belgrado tolse l'autonomia di cui la regione beneficiava, pur facendo parte, all'interno della Federazione iugoslava, della repubblica serba. In effetti, l'ottanta per cento della popolazione era di etnia albanese, anche se il Kosovo aveva una grande importanza storica per la Serbia.
I dirigenti di Belgrado fomentavano il nazionalismo per neutralizzare le proprie difficoltà interne e ormai la Iugoslavia dei Karageorgevic e poi di Tito si era dissolta, dimostrando pienamente che non si erano risolte le contraddizioni precedenti alla Grande Guerra. Dall'altro lato, il non violento leader dei kosovari albanesi Rugova aveva perso ogni potere contrattuale e chi trovava spazio tra la gente erano le milizie dell'UÇK.
Fu così che Clinton dette inizio ad una guerra non dichiarata che ancora oggi continua a far discutere gli storici, anche se va inquadrata nel clima delle violente secessioni che hanno fatto seguito alla scomparsa di Tito. Ancora oggi c'è chi afferma che senza il distacco unilaterale della Slovenia non si sarebbero stati i massacri in Croazia e in Bosnia-Erzegovina.
È notizia di pochi giorni fa che Zapatero ha ritirato il contingente di pace spagnolo, adducendo a giustificazione il fatto che il Kosovo ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia, ma il nuovo stato non è Stato ancora riconosciuto dalla Spagna. Ma questa non è più storia, bensì cronaca.