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teologia e vita extraterrestre
di Piero Pastoretto

Il recente lancio in orbita del telescopio Keplero, teso ad indagare sull'esistenza di pianeti di tipo terrestre attorno a delle stelle che occupano un certo settore dello spazio (circa 10.000), ha riscosso un rinnovato interesse nell'opinione pubblica sul problema dell'esistenza della vita extraterrestre. Ha di conseguenza dato nuovo vigore anche alle ricerche di segnali radio di altre intelligenze, che dal 1979 sono condotte dal programma SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence). Anche la Chiesa Cattolica, fondandosi come giusto sull'infinita capacità creatrice di Dio ("Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem [Pantokràtor in greco], factorem coeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium", recita in latino il Simbolo niceno del 325), si allinea ormai senza esitazione all'ipotesi dell'esistenza nell'Universo di moltissime altre specie viventi oltre a quelle che conosciamo sul pianeta Terra, non escluse altre creature razionali simili all'uomo. Fin qui nulla da eccepire ma, ragionando sulla questione e andando un po' oltre un piatto semplicismo, sorgono temibili domande di natura teologica, che a mio avviso richiederebbero una necessaria risposta da parte della dottrina cristiana.

Dunque, ammettiamo che Dio, nel suo infinito amore, abbia voluto creare - prima, contemporaneamente, o dopo l'uomo - altre creature a propria immagine e somiglianza, in grado cioè di pensare, volere ed amare, e investite di totale libero arbitrio, quindi anche di disobbedire al proprio Creatore. Discorrendo qui di "immagine e somiglianza" con Dio, non mi riferisco ingenuamente ad altri uomini simili a noi, poiché ambienti planetari alieni e dotati di ecosistemi differenti avrebbero necessitato la creazione, da parte di Dio, di esseri anche del tutto diversi da noi nelle forme e nel metabolismo, ma adatti al luogo loro destinato. Qui non possiamo mettere freni alla nostra fantasia, ed immaginare le creature più bizzarre od addirittura mostruose ai nostri occhi, ma pur tuttavia nostri fratelli in quanto come noi creati da un Dio del Bene.

A questo punto, e partendo puramente dal punto di vista teologico, mi pongo le seguenti delicatissime questioni: una qualsiasi specie creata da Dio a similitudine dell'Adamo e dell'Eva terrestri avrebbe potuto (o potrà) peccare come i nostri progenitori; oppure no. Se ha peccato, allora è caduta anch'essa nel medesimo stato in cui il male ha precipitato noi uomini dopo il peccato originale. In questo caso l'Amore di Dio verso le sue creature avrebbe dovuto spingerlo ad inviare su quel, o quei pianeti, il Figlio suo, ovvero il Logos (cioè il Cristo Gesù, il Salvatore della nostra umanità) per riscattare attraverso il suo sacrificio «puro e santo» i suoi figli dal peccato e dal male che li ha corrotti.

In altri termini, ammettendo altre specie intelligenti create da Dio e dotate di libero arbitrio, e la loro conseguente possibilità di peccare contro il suo comando, dobbiamo ammettere che, se esse hanno disobbedito all'imposizione divina, la missione salvifica di Cristo si è già manifestata - in forme o modi che non possiamo certo immaginare - o si sta manifestando, o si manifesterà, in tempi diversi, su diversi pianeti dell'Universo. Tesi a prima vista certamente paradossale, questa di un Nostro Signore Gesù Cristo degli spazi, ma, dobbiamo ammetterlo, tutt'altro che assurda o contraria alla teologia cattolica e cristiana in generale. Ma proseguiamo nel ragionamento. Leggendo il cap. 1, 24-29 del Genesi (1) osserviamo che all'uomo nell'Eden fu concesso semplicemente il dominio sugli animali e sui frutti, e la facoltà di moltiplicarsi su tutta la terra. Non però l'onniscienza, né la sapienza e tantomeno la «conoscenza del bene e del male» (Gen, 2, 16-17). Ne consegue che il peccato originale (almeno quello dell'uomo) è stato precisamente la volontà della conoscenza (in specifico del bene e del male, ma in senso lato la 'conoscenza' in generale).

Si deduce quindi che: se altre specie create da Dio non hanno peccato, non hanno neppure sviluppato una scienza simile alla nostra - né tecnologica, né radioastronomica, né dei viaggi spaziali - e pertanto noi non potremmo mai ricevere loro messaggi né conoscere mai la loro esistenza a meno di non sbarcare direttamente sui loro pianeti. Concentriamo la nostra attenzione sul passo 2, 17-19. In esso si contempla la caduta dell'uomo colpevole e la pena per il suo peccato, che consiste essenzialmente nella morte e nel lavoro. Lavoro che, in effetti, possiamo intendere abbia caratterizzato ed attraversato tutta la storia umana: dai primi cacciatori ai primi agricoltori, dai primi costruttori di villaggi ai primi architetti ed operai. In altri termini, l'intera società dell'uomo, caduto nel peccato, è caratterizzata dal lavoro. Ma anche la tecnologia è lavoro, e persino la scienza è lavoro: non sono cioè soltanto due particolari forme di lavoro che servono al lavoro semplicemente fisico, ma in più nascono e si sviluppano dall'intelligenza e dalla conoscenza acquistate in seguito al peccato originale «mangiando del frutto proibito», ma che sono inutili ed estranee a quelle ipotetiche creature divine che, a differenza di Adamo ed Eva, non hanno mai peccato.

In conclusione, se mai potremo venire in contatto con altre specie ad un livello culturale e scientifico pari o superiore al nostro, esse saranno necessariamente eredi di un loro peccato originale tanto quanto noi: già riscattate o ancora da riscattare dalla missione salvifica del "Cristo degli Spazi". Viceversa, quelle specie che non hanno mai ceduto al peccato, possiederanno il pensiero ma non intelligenza, e vivranno beate una vita mite e ricca di grazie e di abbondanza senza aver mai sviluppato alcuna civiltà evoluta.
NOTA (1) Adotto qui la versione della cosiddetta Bibbia di Gerusalemme, che segue l'editio princeps curata dalla CEI nel 1971.

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