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la sifilide e la pasta
di Carla Santini

Nel 1530 Gerolamo Fracastoro pubblica un poemetto sul pastorello Syfilis che, per aver offeso il dio Apollo, viene punito con una malattia che distrugge la sua bellezza; come tanti poemetti e romanzi dell’epoca, Syfilis ha un sottotitolo “sive de morbo gallico”, che tradotto suona “ovvero del mal francese”. Mal francese è il nome che la terribile malattia ha popolarmente avuto per secoli in Italia, mentre, dal canto loro, i francesi l’hanno sempre chiamata “mal napolitain”.

Un’altra diatriba sull’origine della sifilide si ha tra coloro che le attribuiscono un’origine americana e coloro che affermano che furono i Conquistadores a portarla di là dell’Atlantico. Il medico Ruy Diaz de Isla nel 1539 affermava di aver curato molti marinai colombiani che avevano contratto il mal serpentino nell’isola di Hispaniola, ma diversi storici della medicina affermano che la malattia fosse stata già descritta da Ippocrate, Galeno e Plinio il Vecchio, se non addirittura nel Codice di Hammurabi, quattromila anni fa.

La disputa sull’origine della pasta alla carbonara ricorda, al rovescio, quella sull’origine della sifilide, perché sono in tanti a rivendicarne la paternità. Già sulla ricetta le voci sono discordi, tra chi individua negli spaghetti l’unica pasta ammessa e chi afferma che i rigatoni prendano di più il sugo, così come la disputa tra pecorino (un tempo chiamato a Roma cacio e in campagna caciu) e parmigiano e quella, ancora più divisiva, tra chi ci vuole dentro il guanciale e chi dice che in vecchi testi si parli di grassemmagro, ovvero di pancetta.

Il primo a parlare dell’origine “americana” della carbonara fu Enzo Biagi in un suo libro degli anni Settanta, in cui raccontava che alcuni soldati americani a Roma, quando il proprietario di una trattoria presentò loro, costernato, una zuppiera di pasta senza sugo né burro, perché non ne aveva, non fecero altro che versarci sopra le loro razioni di bacon and eggs, inventando così, d’amblée, la pasta alla carbonara. Questa origine americana ha trovato recentemente una nuova versione, con uno chef che afferma che i soldati americani si fossero invece trovati nel suo ristorante di famiglia in Emilia-Romagna.

Ultimamente si è fatta strada l’ipotesi che questo modo di cucinare la pasta fosse stato portato a Roma da carbonai abruzzesi, un po’ come è successo con la amatriciana, che i romani chiamano matriciana, che proviene da Amatrice, località del versante adriatico della provincia di Rieti, prima appartenuta al Ducato di Spoleto, poi, per secoli, all’Abruzzo. C’è chi dice che la gricia o griscia (la vera pronuncia è intermedia tra le due grafie), altra pasta amatissima dai romani, non sia altro che una amatriciana in bianco.

Gli umbri, che tradizionalmente sono ferocemente campanilisti, non si smentiscono nemmeno in questa occasione. Ad Umbertide, nel nord della provincia di Perugia, giurano che la carbonara sia un loro piatto, supportati dalla scrittrice Barbara Alberti, che di Umbertide è nativa; dalla parte opposta della provincia, nella valle del fiume Corno, affluente del Nera, gli abitanti del comune più alto dell’Umbria, Monteleone di Spoleto, affermano con sicurezza che fu inventata dai loro minatori, poi portata a Roma da carbonai e norcini (salumieri) monteleonesi. A tal proposito citano anche il ristorante “I tre scalini” di piazza Navona e il famoso bar Ciampini, di piazza San Lorenzo in Lucina, illo tempore aperti da monteleonesi.

Ma nella vicina Cascia gli abitanti non ammettono ragioni. La carbonara è compaesana nientepopodimeno che di Santa Rita. Non c’è partita.

articolo pubblicato il: 17/08/2023 ultima modifica: 30/08/2023

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