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Sola tra memoria e dolore

Daurija Campana


Le poesie di questa raccolta sono in parte tratte da precedenti pubblicazioni dell’autrice e precisamente da La casa di paglia (2013) e da L’ultima campana (2021). Occorre tuttavia sottolineare che non si riscontra tra esse alcuna discontinuità di stile e motivi, nonostante si estendano nell’arco di una decina d’anni. La poetica di Daurija Campana affonda le radici più profonde in vissuti autobiografici intensi, appartenenti soprattutto alle dimensioni del sentimento, dell’amore, degli affetti familiari, dei luoghi dell’infanzia e della giovinezza, degli spessori memoriali che la legano ancora oggi nel presente alle stratificazioni e cristallizzazioni del passato: ciò perché gli eventi che hanno attraversato il suo cammino esistenziale, psicologico e morale sono stati laceranti, provocando ferite non ancora rimarginate.

Penso che si possa unire la sua ispirazione artistica al dolore provocato da tali perdite, distacchi, assenze, vuoti e tentativi, purtroppo vani, di scoprirne una ragione, un significato qualunque ma liberante. Ecco il motivo per cui penso anche - nel suo svolgersi letterario - al sorgere di una poetica del sentimento autentico, del dolore edificante, della memoria consolatrice che coinvolge e commuove, sia alla maniera leopardiana che pascoliana. Forse si potrebbe anche parlare d’una sorta di lirica apologetica della soggettività delle emozioni personali, ma, beninteso, non sotto forma di vittimismo - come nel tardo romanticismo - bensì di limpido calore umano, accorata partecipazione, tenerezza e delicatezza espressive. Numerose sono infatti le composizioni dedicate al padre, alla persona amata o, meglio, al loro ricordo ravvivato sulle pagine scritte, prorompenti da una comunione con l’essere, l’appartenenza, l’identità mai cancellate o rimosse dalla sua volontà di coltivare per sempre il loro culto.

L’invito della poetessa ad entrare nel suo mondo interiore si può trasformare, per il lettore, non solo in un’empatia verso la dolorosa vicenda biografica, ma anche in una sorta di viaggio educativo, tale poiché i valori umani che emergono sono nella società odierna così bistrattati, calpestati, recisi, che riscoprirli e recuperarli significherebbe arricchire sé stessi e la propria umanità, ritrovarsi cioè in una realtà che pensavamo scomparsa. Nel contempo i testi poetici della raccolta conferiscono altresì alla scrittura una sua funzione positiva, non l’unica ovviamente, ovvero quella di mettere l’individuo contemporaneo di fronte a una scelta di civiltà: che tipo di relazioni si vogliono costruire per dare un volto e dei contenuti al vivere comune.

Le forme, le movenze metriche, i ritmi, le scansioni, il linguaggio comunicativo, le metafore, le sinestesie - in altre parole l’estetica e lo stile - favoriscono certamente la finalità anzidetta: si tratta in gran parte di un dire dalle costruzioni classiche, che tengono in vita le strofe e i versi chiari, riposanti e immaginifici, di un’espressività diretta proveniente dal cuore e dal bisogno di speranza. La poetessa si ‘confessa’ attraverso libere associazioni, senza vincoli cronologici prestabiliti, senza preoccupazioni tematiche, senza avventurarsi nei territori labirintici della psiche: si affida ai suoi stati d’animo e mette a nudo ciò che sente, ciò che l’angoscia, ciò che vive. Seguendola nei suoi percorsi vedremo il dipanarsi di un’anima bella e di un grande amore per la vita. Sola tra memoria e dolore è un testo che si gioca in gran parte sul contrasto assenza-presenza di chi non c’è più: assenza fisica, corporale ma presenza spirituale, memoriale. È sempre e comunque una condizione esistenziale di dolore che non trova vie d’uscita. La incontriamo, esemplificando, nella lirica Il bosco, dedicata al padre, dove l’infanzia è allo stesso tempo ammantata da dolci ricordi e infranta, perché «…Tu non ci sei, mi manca la tua mano / che conduceva ogni mio passo lontano…».

Nei versi delle cinque quartine de La partenza, che descrive il congedo straziante del padre in un freddo ospedale con toni di crudo realismo associato a sentimenti di filiale pietas umana: «…Non era coraggio ma solo amore / dovevo essere forte perché lo volevi / ma dentro l’angoscia stringeva il cuore / ormai sapevo che non rimanevi…». Nelle due strofe di Giovinezza, dove la poetessa chiede perdono alla sua ‘età più bella’ ed esprime un dubbio: «…Non so se ti ho perso quel giorno lontano / in cui dentro il cuore morì la speranza / o quando stringendoti forte la mano / rimasi da sola dentro la stanza…».

Nelle quattro quartine di Assenza, in cui l’ossimoro assenza-presenza sostiene la lirica attraverso immagini di realtà esterne che cercano di occultarlo: la nebbia, la casa fredda e vuota, una nuvola nera, tant’è vero che il tempo è rimasto sospeso: «…Il tempo è un insieme di attimi spezzati / talvolta lenti, talvolta troppo veloci, / che assai spesso la mente non può riordinare … / … ed io bambina ti aspetto ancor per giocare!».

La incontriamo ancora nelle rimembranze dell’amore franto, dell’amore perduto: lacerazione affettiva che diviene un’altra cifra fondamentale della poetica dell’autrice. Così è in Destino, rievocazione della nascita di un amore e di un incontro luminoso, che tuttavia ebbe un epilogo di desolazione: «…Ma cadono anche i petali dai fiori / cerco nella mia anima il tuo respiro / e non trovo che infiniti silenzi / e parole che il vento ha cancellato…». In Fredda estate, dai versi angosciati e intrisi di pianto per l’assenza dell’amore: «…Sto cadendo in un pozzo senza fondo, / in una palude dove sprofondo…». In Settembre e Novembre, liriche che, accanto agli accenti ancora lancinanti, accolgono anche parole che paiono di pacata rassegnazione: «…La tua anima ora riposa in pace /…/ ricordo quando eravamo vicini / e guardavamo il tramonto del sole. / Quante risate e quante parole…»; «…Ti aspetto ancora tra le zolle brune, / convinta che lì, / ci riabbracceremo…». E in Eppure è notte, il cui finale possiamo considerare una sorta di summa dei rimpianti e della presa di coscienza della realtà presente: «…Avrei voluto conservare ogni istante / ma la lancetta si è spostata / troppo in fretta. / E tu, non sei più qui, con me...».

La memoria è un altro grande contenitore nel quale l’ispirazione della Campana trova e colloca numerosi tasselli di un mosaico ampio e variegato, tant’è vero che penso si possa parlare anche in questo caso di una poetica apologetica della ricerca del tempo perduto. Nelle ottave della lirica La mano del padre, Daurija apre le virgolette e immagina i discorsi del padre prima della morte: egli ricorda la giovinezza con l’odore della terra; i campi amati e il variare delle stagioni; madre natura coltivata dal contadino; l’aratro che prepara le zolle; la fatica e il sudore del lavoro; ed incontrerà la sua terra anche dopo il congedo da questo mondo. L’ultima strofa invece è una quartina ed è significativa dell’amore filiale: «…“Chi mi darà la mano in questo mondo, / quando mi troverò davanti a Dio?”, / Ti stringo forte e d’impulso rispondo: / “Babbo, vedrai che te la stringerò io!”…».

I ricordi dei giochi d’infanzia sono immortalati nella poesia La casa di paglia, con i sogni e gli aneliti tipici dell’età più bella. Anche i Natali, dopo le perdite affettive, trascorrono tristi e la desolata realtà presente s’intreccia con le nostalgie del passato: il presepe, la Messa di mezzanotte, i canti di Gesù Redentore, le luci, le renne e le statue di porcellana, ma soprattutto quell’atmosfera familiare che faceva tanto bene al cuore, quand’eravamo «la nonna, tu ed io». Ma ora: «…Forse a Natale c’è ancora qualcuno / che può sorridere, che può sognare, / che può toccare le stelle e le renne // ma senza di te, questo a che vale?» (Natale). Anche la composizione Il lago - pregevole per l’intreccio di diversi livelli temporali e sentimentali - percorre i sentieri della memoria mediante la formula letteraria del dialogo tra l’autrice e lo specchio d’acqua che si trasforma in un alter-ego di tutte le sue problematiche esistenziali e delle difficoltà connesse: «… Da allora quanti anni sono trascorsi? / Troppi, senza di lui, e troppo pochi / per lenire in qualche modo il dolore / che turba dentro come una tempesta…».

In tale contesto di disagio dell’essere e del vivere, in tale status sofferente dell’anima, in tale vissuto quotidiano assillato e assillante, senza pace interiore, Daurija Campana trova nella poesia una musa consolatrice che le consente processi di abreazione - se non di catarsi liberatrice - per scoprire al suo fianco una compagna di vita di alto livello spirituale. Ciò avviene nello stesso atto della scrittura - per molti poeti le lettere sono divenute addirittura ragioni di vita - soprattutto dentro quegli aspetti che fioriscono nelle dimensioni oniriche, nelle quali il sogno compensa le delusioni e le illusioni della realtà. Così avviene pure attraverso il dialogo con la natura: emblematicamente, nella Passeggiata lungo il fiume, gli affanni cessano, i pensieri preoccupati svaniscono e la poetessa s’incanta di fronte alla ghiandaia o allo scoiattolino nero, davanti all’airone o alla garzetta o al merlo. Palliativi che tuttavia rendono possibili strade di uscita dal tunnel, se percorse con costanza.

Questo passaggio verso i territori della speranza sembra tuttavia non ancora prossimo, se proprio nell’ultima composizione della raccolta, la poetessa esprime sentimenti più vicini alla rinuncia: «…Accetterò che questo sole vuoto / si spenga completamente dentro di me, / trascinando la mia sete di vita / e tutti i miei sogni e le mie passioni... // Per chi lottare? Per chi resistere? / Chi è il nemico e quali i valori? / Quale amore è più grande della resa? / Non ho più gambe per camminare…». Potrebbe essere la pittura il viatico per nuovi cieli e nuovi mondi? Nelle ultime pagine del libro l’Editore ha infatti pubblicato le immagini di alcuni suoi dipinti, tra cui spicca Mio padre, un olio su tela che lo raffigura nel lavoro dei campi, alla guida di un trattore, cioè mentre è immedesimato nel pieno della civiltà contadina, a contatto con la sua terra.
Enzo Concardi

Daurija Campana, nata a Meldola (Forlì), si è laureata con lode in Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Bologna. Poetessa e pittrice, vive ed insegna a Cesena. Fin da bambina si è dilettata a scrivere e a dipingere. Ha pubblicato le raccolte di poesie La casa di paglia (2013), L’ultima campana (2021) e il saggio Gli ebrei a Forlì tra il XIV e il XVI secolo (2013).

DAURIJA CAMPANA, Sola tra memoria e dolore, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 80, isbn 979-12-81351-05-9, mianoposta@gmail.com.

articolo pubblicato il: 10/05/2023

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