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de bello babylonico
di Piero Pastoretto

La linea di demarcazione tra un modello di guerra "antico" ed il nuovo concetto di conflitto, così nuovo da poter essere definito "neonato", è la seconda guerra del Golfo del 1991. Per circa 5.000 anni lo schema era il seguente: si "inciampava" su una questione che non poteva essere risolta politicamente; il più forte, almeno sulla carta, ricorreva alle armi nella presunzione di vincere; ne scaturiva una pace, lunga o provvisoria che fosse, in virtù della quale il vincitore sul campo conseguiva in tutto od in parte propri obiettivi.

L'elemento più delicato dei tre era senz'altro il secondo, e infatti non a caso ho usato il termine presunzione: anche quando il confronto si svolgeva tra una grande potenza ed un popolo più debole, il fattore rischio, o caso, considerato da Klausewitz come uno dei componenti ineludibili della guerra, permaneva come un quid od una x incognita che rendeva perlomeno incerto l'esito finale. Quante volte le aquile legionarie del tardo impero tornarono umiliate dalle genti barbare che in teoria sarebbero dovute uscirne sconfitte. Nel XVI secolo il colosso spagnolo dovette cedere alla piccola Olanda, ed il Vietnam e l'Afghanistan hanno insegnato a sovietici e statunitensi che non era affatto facile averla vinta sui Charlie e sui Muhamed in apparenza tanto inferiori.

Col 1991 le cose sono del tutto ribaltate, ed il punctum dolens della triade suaccennata è diventato il terzo, che in precedenza risultava il più facile al termine del conflitto. Oggi chi comincia una guerra, circondato o no da una coalizione, è matematicamente certo di vincerla in tempi brevi e con poche perdite: il divario tecnologico fra i due contendenti è infatti tale che uno di loro può permettersi addirittura il lusso di non distruggere l'avversario, ma di renderlo inerme semplicemente sconvolgendo con l'aviazione tutti i suoi centri nevralgici senza quasi impegnare le forze terrestri. La superiorità di uno dei due gli consente persino di risparmiare vittime militari e civili tra gli sconfitti, salvo ovviamente errori umani e tecnici sempre possibili, riducendo così drasticamente le perdite rispetto alle cifre delle ultime guerre "classiche", come furono ad esempio quella di Corea o del Vietnam.

La Serbia, il cui esercito è uscito praticamente intatto dal conflitto, l'Afghanistan e, nel 2003 l'Iraq, insegnano.

Al contrario, in questo scorcio del XXI secolo che stiamo vivendo, il problema diventa la pace. In primo luogo l'obiettivo bellico, quello più facilmente identificabile per motivi geografici e di uniforme, è solo secondario rispetto alla lotta al terrorismo, che è invece quello primario ma del tutto sfumato ed evanescente.

Il terrorismo infatti, a differenza del Creatore che è in ogni luogo, è capace di essere ovunque ma allo stesso tempo da nessuna parte. In secondo luogo l'ONU, che era una biga progettata per correre su due ruote, avendone persa una, quella sovietica, non è più in grado di ricucire una pace né di costringere chicchessia; e quando ci prova, come in Somalia, si rivela un irrimediabile pasticcione. Per terzo, come stiamo osservando in questi mesi, il vincitore non è assolutamente in grado di gestire il controllo del territorio, e neppure di "svignarsela all'inglese" abbandonando il paese a se stesso senza almeno il tentativo di creare un governo legale che lo salvi dalla guerra civile e dalla necessità di un nuovo intervento: ma questo obiettivo è il più difficile in assoluto, per non usare la parola grossa "impossibile". In Afghanistan il potere di Karzai non si estende oltre la periferia di Kabul, ed in Iraq persino il sud sciita, che dovrebbe essere riconoscente verso chi lo ha liberato da un dittatore che ancora nel '91 ha usato gli elicotteri e le truppe contro la sua popolazione inerme, e lo ha tutelato dalle incursioni aeree con la no fly zone, è in piena effervescenza, anche se in minor misura rispetto alla parte centrale sunnita del paese. In ultimo, se l'obiettivo inconfessato della Pax Americana, ma neppure troppo nascosto, era quello di creare due aree di presenza, l'una nella penisola arabica, e l'altra a ridosso del Caspio e del Pakistan, l'obiettivo non può essere raggiunto perché l'organizzazione statale scomparsa con la guerra ha ridato vita alla ben più antica e vitale divisione in tribù ed etnie dalle quali è impossibile ricavare un governo centrale alleato o collaborazionista. In Iraq, oltre alla suddivisione in curdi sunniti e sciiti, sussistono 150 tribù con i loro sceicchi, ed ancor peggiore è la situazione in Afghanistan.

Date queste situazioni oggettive, e senza contare altre contingenze di non secondaria importanza, come il fattore islamico, che sarà forse esaminato in un secondo tempo, è prevedibile in futuro che le guerre saranno iniziate con una prudenza molto maggiore.

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