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editoriale
zapaterismo e oltre
di Ada

Chi arma le mani dei terroristi, intendiamo chi ne regge le fila e decide dove e come colpire, si trova oggi di fronte ad un bivio, continuare con gli attacchi suicidi, con azioni tipo Madrid, oppure scegliere altre strade. Dopo il 12 marzo i Paesi europei hanno stretto in qualche modo i controlli un po' dappertutto ed e' ben difficile ripetere in poco tempo un'operazione che presuppone preparativi accurati e organizzazioni laboriose di scelta di uomini, di segretezza assoluta, di tempi abbastanza lunghi insomma. Non vogliono e non possono andare allo sbaraglio con il rischio percio'di compromettere tutto. Rimangono le azioni verbali e mediatiche con messaggi minacciosi a mezzo di televisioni "amiche" o compiacenti o comunque non ostili.

Il terreno di lotta, se cosi' si puo' dire, e' stato spostato allora in Irak, terreno piu' che fertile, vista la situazione, dove e' facile trovare appoggi locali e dove e' sempre possibile far confluire uomini e mezzi come in precedenza e' stato fatto con l'Afganistan dei talebani. Ma non e' la stessa cosa. In Irak non ci sono agglomerati urbani con popolazioni inermi di americani o europei, ma ci si puo' mimetizzare e ci sono armi e munizioni di facile reperimento: l'azione terroristica puo' essere condotta percio' solo contro reparti militari il che non e' sempre semplice e agevole e puo' anche portare a risultati imprevedibili. In attesa di tempi migliori, avranno pensato, cerchiamo qualcosa di piu' facile e immediato e si spiega quindi il rastrellamento di civili occidentali o comunque stranieri. Ben poca cosa - ci si perdoni l'affermazione che non esclude, anzi, l'umana comprensione per chi cade nelle mani di spietati assassini - rispetto alle stragi di New York e Madrid. Il rapimento di ostaggi e' stato da sempre un aspetto allarmante delle guerre intestine e dei conflitti senza eserciti schierati. E' difficile impedirli totalmente, ma e' un'altra cosa che non ha gli aspetti dirompenti nelle opinioni pubbliche delle stragi di popolazioni inermi, anche se - come nel caso nostro - rientra nello stesso progetto strategico di destabilizzare in qualche modo gli assetti politici dei paesi occidentali.

La cattura dei quattro civili italiani peraltro ha provocato un effetto opposto a quello che i terroristi mediorientali si attendevano. La reazione dell'opinione pubblica italiana -nonostante la barbara uccisione di uno dei quattro - e' stata infatti seria e responsabile sulla scia di quella di tutte le forze politiche, anche perche' il ricatto era inaccettabile e intollerabile. Probabilmente i mandanti dell'operazione hanno commesso un grave errore di valutazione : hanno ritenuto cioe' estremamente facile inferire un "colpo basso" agli italiani senza nemmeno arrivare alla carneficina spagnola. Non ci sembra insomma il "salto di qualita'" che qualcuno ha voluto riconoscere agli strateghi del terrore, anzi si puo' dire il contrario, sempre che l'operazione non sia stata commessa da un gruppo "di cani sciolti" difficilmente controllabili.

Tutto qui? Certamente no perche' rimane il grande interrogativo del che fare con l'Irak. Su quest'ultimo punto la discussione tra le forze politiche sembra sempre attuale e insieme polverosa: tutti si domandano che cosa faranno le sinistre: tra non molto anche il settore riformista presentera' la sua bella mozione alle Camere a favore del ritiro delle forze militari italiane e la presentera' a ridosso delle elezioni europee di giugno ben sapendo che verra' respinta - salvo imprevisti sempre possibili in Italia - dalla maggioranza. C'e' pero' un "guru" della sinistra italiana il quale proclama ed editta che bisogna trattare con il terrorismo come si discute con Bush. Non sappiamo ancora se siamo di fronte ad un "zapaterismo" riveduto e corretto in peggio. E' certo invece che l'evoluzione o l'involuzione della politica italiana non ha piu' confini dando di se' uno spettacolo che se fosse di attori dilettanti sarebbe sicuramente fischiato ed eliminato subito dal cartellone.

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