Al recente concorso d'Arte Sacra, organizzato dall'Associazione artistico - culturale "Giuseppe De Nittis" di Barletta, ha registrato calorosi apprezzamenti di critica l'artista PAOLO VITALI che vi ha partecipato con una "Via Crucis e le donne".
L'onestà culturale, professionale, civile e sociale di PAOLO VITALI non ha mai fatto difetto. E non solo non ha mai pagato pedaggi, per così dire, ad opportunismi o a giuste e comprensibili visioni utilitaristiche, soggettive o di gruppi, quanto piuttosto si è realizzata sempre come prodotto morale di chiari ed espliciti imperativi etici.
Paolo è uomo ed artista rigorosamente legato a concezioni di principi che non concedono iati tra pensiero e azione, tra teoria e prassi, tra logica e realtà. Mai un suo scadere nell'area dei compromessi tanto necessari e indispensabili per battere le vie del successo. Senza far torto, quindi, a quanti nel passato, nel presente e nel futuro si pongono ad espliciti esempi di scelte di vita che, per la loro originalità e per la loro congruenza, suscitano grande ammirazione ma scarsi e non sempre sinceri consensi, finendo con l'essere relegati nella categoria dei "mistici", si può affermare che, Paolo, tendenzialmente, è uno di loro.
Scrupolosa sino alla soglia di una possibile patologia, la sua sensibilità, incide sulla sua creatività senza mai mortificarla, senza anchilosarla, senza mai censurarla, rendendo le sue produzioni artistiche, soggettivamente e socialmente, fruibili.
Paolo è un pittore "mistico" che ama includerti nelle sue "visioni", inglobarti nelle sue narrazioni, rispettando al massimo i tuoi vissuti psicologici, la tua formazione culturale, la tua ideologia politica, le tue scelte di vita.
Non chiede mai la tua compromissione nelle letture di una comune cultura o nell'esplorazione coraggiosa che compie nelle culture "altre", nelle ideologie, nelle fedi, nelle opinioni diverse che fanno, di ogni uomo, un uomo, di ogni popolo, un popolo, di ogni credente, un credente.
Attinge alla sua profonda acculturazione professionale, alla sua matura esperienza di lavoro, alle consapevoli sue "privazioni" che si è imposto per far salva ogni dimensione di quel valore che è la "Dignità". Sua e degli altri.
Degli uomini e delle loro idee, delle loro religioni, di chi ha fede e di chi non ce l'ha, di quanti hanno occhi per credere o li chiudono per rifiutare ogni contatto col sacro, con il metafisico, con la
divinità.
Non chiedetegli, quindi, se è anche un uomo di fede!
La sua "Via Crucis, Gesù e le donne" non vuole essere una rivisitazione del pio esercizio cristiano ricostruito, tramandato, largamente diffuso ed estremamente rispettoso della descrizione che gli evangelisti fanno dell'ultimo tratto del cammino indicibilmente duro e doloroso che Cristo compie durante la Sua vita terrena. Non inclina, Paolo, a voler mettere in discussione le ragioni delle celebrazioni liturgiche di un esercizio di pietà così largamente penetrato nella più ampia cultura devozionale popolare, tanto lodevolmente inculcato e raccomandato dalle autorità spirituali e religiose di ogni tempo.
Nella "Via Crucis" di Paolo ci sono tutte le consuete raffigurazioni classiche della Via Crucis più tradizionale, nate e cresciute sul terreno preparato dalla devozione di un Bernardo di Chiaravalle, di un Francesco di Assisi e di un Bonaventura da Bagnoregio, Sono centrali nella sua raffigurazione. Ma non bastano. Non lo accontentano. Paolo ha bisogno di una diversa narrazione.
La sua è una "visione ardentemente soggettivistica", come lui stesso dichiara, che affida ad "una tavolozza antinaturale e stridente" che " annulla ogni profondità spaziale portando in superficie tutte le coordinate spaziali, riconducendo il tutto ad un ordine simbolico".
In un cromatismo di fondo, volutamente marcato, azzurro cupo e sinuose rosso vivo, trovano spazio le quattordici stazioni della versione della Via Crucis propagata, in Italia, da San Leonardo da Porto Maurizio, nel secolo XVIII. Non apporta varianti. Nemmeno nelle stazioni prive di un preciso riferimento biblico, quali le tre cadute sotto la croce, l'incontro con la Madre e con la Veronica.
Intuitivamente le sembrano fuori misura, forse, le tre cadute nella riduzione dalle originarie sette delle precedenti devozioni. Più che un senso tradizionale di "pietas" filiale della Veronica, vi legge in quella raffigurazione, un dono ad una donna, da parte di Gesù, della propria effigie, l'effigie più bella del più bello dei figli dell'Uomo.
Quello stesso Gesù che recupera in forma di feto, in reminiscenza di studio e di cultura, nel pannello dell'Annunciazione che apre l'intera narrazione - rappresentazione.
Quel Gesù che, certamente, non mancava di visibilità sia per la sua armoniosa bellezza corporea che per le sue provocazioni dirette a mettere in crisi l'ipocrisia istituzionale e dirigenziale di una società biecamente attenta all'osservanza della legge, ma senz'anima.
Quel Gesù segno di contraddizione che riesce più simpatico alle donne che non al sinedrio, più sodale con i bambini che non con i suoi stessi discepoli, più compreso e rispettato dai ladroni che non dai soloni della giustizia, più seguito dai poveri, dai diseredati, dagli ultimi, da quelli che non contano che non dai potenti della terra.
"L'evidente citazionismo odierno, volutamente marcato" colpisce più per la ricchezza antologica dei riferimenti ( Paolo raffigura personaggi noti e anonimi, uomini, donne, bambini, governanti, leader religiosi e politici, rivoluzionari, masse ) di cronaca, oggettivi, insistenti, reiterati, che non per quel senso di vissuto angosciante che, l'artista, denuncia come sintesi delle difficoltà dei nostri tempi.
Non c'è spregiudicatezza né, tanto meno, irriverenza, in tutta la rappresentazione che, con garbo e con umiltà, il pittore, l'artista, offre alla riflessione di una contemporaneità attardata in comportamenti, individuali e sociali, sempre più vicini, anche inconsciamente, a crinali apocalittici.
Il vero scandalo è e rimane, per l'artista, per i fruitori, per i critici, per chi crede e per chi non crede, per chi vede o per chi si rifiuta di vedere, la comprensione più completa e responsabile dell' "OLTRE" che conclude il cammino terreno di Cristo, l'unico Dio che si è fatto uomo. La sua Resurrezione, la Resurrezione che Paolo raffigura, è il trionfo del tradizionale, anzi il ritorno alla Tradizione. Su quel rotolo di panno bianco steso sul pavimento, lungo della lunghezza di ben quattordici "stazioni". che ti obbliga ad una visione orizzontale, Paolo la pone
in fondo, in verticale. Per costringerti a pensare, a riflettere, ad escogitare, ad intraprendere i tuoi possibili itinerari di liberazione