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cultura
Gilbert Keith Chesterton
di Giuseppe La Rosa


Gilbert Keith CHESTERTON
(1874 – Inghilterra - 1936)

Empirico che ragiona, bizzarro e ameno, vede la verità armoniosa nella saggezza entusiasta dell’uomo comune.

In uno stile ora paradossale ora ilare, mette in ridicolo, con riso amorevole, l’inconsistenza delle filosofie estremiste dei suoi tempi : idealismo, materialismo, scientismo, scetticismo.

Per l’idealista, tutto si racchiude nella propria coscienza, nella propria interiorità, là dove non ci sono finestre aperte sul mondo.

Ma se non c’è altro fuori della coscienza, perché allora l’uomo desidera cose fuori di sé? L’uomo vuole comunicare con gli altri, che sono altro da sé, vuole promuovere la libertà, il progresso. Tutto questo suppone una meta, una strada, una potenza in moto, un uscir fuori da sè. Ma nell’universo senza finestre sul mondo dell’idealista non c’è niente di niente, c’è un vuoto glaciale, irrespirabile, immobilizzante.

Per il materialista, invece, tutto sta fuori della coscienza. Vede il mondo attraverso le finestre dei cinque sensi. Quindi nessun orizzonte di spiritualità.

Ma gli ideali dell’uomo, dove li mettiamo ? La sua libertà, le sue scoperte, quel qualcosa che dal di dentro vuole balzare fuori ed effondersi sugli altri e sul mondo? Cose che non hanno nulla a che vedere con la grevità, l’opacità e il determinismo della materia. L’uomo non è un pezzo opaco e insignificante di materia.

Lo scientismo, il tecnicismo, è invadente e spocchioso, dice il nostro. Sembra che spieghino tutto, ma alla fine sui problemi più squisitamente spirituali non dicono nulla. Non ancorando le loro premesse a nulla di assoluto, va da sé che scivolino e si immergano e ondeggino nel grande oceano del relativismo. Perché al di la dei fenomeni loro non vedono altro. E che significa guardare i fenomeni ? Osservarne la concatenazione più o meno stabile.
Il magico, il miracoloso, l’inspiegabile con le sole leggi della natura per loro non esistono. E però ci sono, ci restano, ci resistono, a dispetto e più di prima.

Lo scetticismo è funesto e devastante, sostiene Chesterton, perché è il rifugio degli sconfitti e dei disfattisti. Di coloro per i quali se niente è certo, niente si può credere e niente si può fare. Quindi si va alla cieca. E’ una visione tragica, commenta il nostro, ma è anche buffo e grottesco.

E’ bene tener presente che l’uomo della strada e del buon senso, ci ricorda Chesterton, è contro gli estremismi che gli piace collocare in un centro equilibrato ed equilibratore. La verità sta nel mezzo. L’uomo comune si sente meglio quando ha dei chiari punti di riferimento. La vita ha si degli aspetti labili, fuggenti, fluidi, imprevedibili, ma è anche concreta, certa, definita, precisa.

La legge e l’autorità sono necessarie, ma per meglio garantire la libertà e l’iniziativa di fare il bene.

La tradizione non va buttata via, smantellata, ma è la base sicura su cui ergere l’edificio del progresso che si innalza continuamente.
L’uomo della strada scruta dentro la propria coscienza e contemporaneamente tiene aperte le finestre dei cinque sensi. Ha bisogno di essere se stesso, ma proprio per questo deve tenersi unito agli altri. E’ una macchina razionale che sforna ragionamenti, ma è anche fantasia, cuore che ha bisogno di immagini, calore vitale, poesia. Con un occhio vede il male che imperversa, ma con l’altro vede pure il bene che fa da contrappeso al male. Scarrozza e galoppa nel tempo fra la vanità e la futilità di creature mortali, ma sa che sfocerà nel mare immenso e quieto dell’Eterno e dell’Infinito.

I “sapienti” del mondo, quindi, che mai arrivano alla verità e alla pace, forbiscano i loro occhi e purifichino il loro cuore.

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