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ora un supplemento di "magnanimità"
di Domenico Benedetti Valentini

Rispondiamo in unico, sintetico contesto, ai molti quesiti postici da più lettori sulla vicenda dell’elezione presidenziale.

Sì, si può ben affermare che lo svolgimento della vicenda abbia fatto segnare uno dei punti più bassi e problematici della politica italiana in questo primo scorcio di secolo. Ogni manovra tattica è, ovviamente, in simili occasioni, lecita e forse inevitabile. Si è sempre verificata e certo non solo nel nostro Paese. Che però i partiti politici abbiano rivelato tutta la loro incapacità di proposta istituzionale; che abbiano finito per frantumare molte importanti ragioni di tenuta delle loro coalizioni, al primo serio impatto; che non si sia stati infine nemmeno in grado di produrre una soluzione “innovativa” di compromesso – ineluttabile quando non sussiste alcuna maggioranza – rifugiandosi piuttosto nella rassegnazione ad una opinabilissima proroga di mandato; che il fattore decisivo (inconfessato ma da tutti conosciuto e commentato) sia stato l’imperativo categorico della permanenza in carica degli “ottimati” elettori; sono tutti dati inquietanti, sintomi univoci del degrado irreversibile in cui si è cacciato il sistema, che è ormai assolutamente incongruo definire democratico.

E’ il caso di considerare il centrodestra come il “principale perdente”? Risposta, anche questa, affermativa. Ma – a frittata ormai fatta – non solo e non tanto perché l’area politica ne esce divergente e per il momento assai nervosa; o perché, partiti con supponenza affermando che “stavolta il Presidente sarà di destra”, si è dovuti ripiegare su un “no a Presidente targato PD”, per poi accettare la nota “soluzione” facendo le viste patetiche di esserne coautori; e quindi perché, risultando vano il tentativo di esprimere un Presidente del proprio versante culturale, si è rinunciato perfino a tener duro il braccio di ferro attivando un legittimo potere di “veto” su ipotesi non gradite…..no, non solo per questo. Ma perché – lo ha spiegato con implacabile chiarezza Marcello Veneziani su “Panorama” del 9/2/2022, pag. 46, “L’Italia dimezzata e noi stranieri in Patria” – si è consolidato il nefando principio che “Un uomo di destra non andrà mai al Quirinale”. Anzi, peggio, non sarà mai “accettato” in un ruolo “di garanzia”. Una regola ad escludendum vigente in ogni ambito, politico, culturale, sociale, finanziario.

E’ proprio questo il punto “epocale”. A nostra memoria, dopo la permanente discriminazione nella Prima Repubblica democristian-comunista, essa si è perpetuata in questa Seconda. Né è cambiato qualcosa allorchè, nell’altalena dal 1994 ad oggi, in qualche tornata si è vinto. Con rispetto parlando, uno se ne sbatte di andare momentaneamente al governo, se a ciò non si accompagna una stagione durevole di autoaccreditamento a tutti i livelli e in tutti i campi, con abilitazione indiscussa (o alla fine imposta per buon titolo democratico) ad ogni ruolo, responsabilità o missione nazionale. E questa, quante volte ne abbiamo trattato!, è la vera battaglia di fondo che la Destra non è ancora riuscita veramente non dico a vincere, ma nemmeno ad ingaggiare…..

La sconfortante vicenda Quirinale avrà ricadute sul corso politico di qui alle politiche del 2023? Ne sta già avendo. Per la verità anche a sinistra, dove l’ulteriore implosione del M5S rimette in circolo flussi elettorali a diversificata destinazione. Il PD ne esce benino di per sé, ma abbastanza “chiuso” nelle prospettive, posto che gli si restringe l’ipotetica area maggioritaria, il vagheggiato “campo largo”. Tant’è vero che non sa che partito prendere sulla riforma del sistema elettorale, che non è detto gli convenga trasformare in tutto proporzionale, con o senza sbarramento minimo.

Interessa però verificare ogni conseguenza sul centrodestra, che sarà sottoposto a una prima prova di resistenza a maggio con il consistente turno di amministrative. Al momento le tre forze ufficiali (FdI, FI, Lega) continuano ad essere ossessivamente condizionate dalla sorte personale dei rispettivi leaders e questo complica, ma è consustanziale al fatto che anche i consensi sono legati a quanto essi “tirano”. Di vero, nelle dichiarazioni ufficiali, c’è che il centrodestra esiste nel popolo, nel sentire della nostra gente, anche se è sfrangiato in Parlamento. Per fortuna questo è l’essenziale e speriamo che prevalga sulle spinte centrifughe. Lampi di genio, che lascino emergere una “formula” nuova a sospingere di per sé in avanti, verso il successo, non se ne vedono all’orizzonte. L’ideale concretizzabile sarebbe ricoagularsi su un profilo programmatico robusto (sistema fiscale, tutela del risparmio e della previdenza, garanzia di ordine a difesa delle persone e dei beni, scuola-merito-professionalità, giustizia e sanità in recupero di efficienza e prossimalità, ritonificazione del reticolo produttivo e commerciale, “liberazione da destra” della creatività artistica e culturale, scelte infrastrutturali selettive) che rimetta la Destra partitica in sintonia con la Destra diffusa, cioè con i ceti che si sono disamorati e con i territori, la maggior parte dei quali ultimi patiscono marginalizzazione.

Colui/colei che, non solo per corsa al talk show televisivo, riesca ad esprimere e rendere affidabile un simile “patto” programmatico con persone e territori, si aggiudicherà la leadership di governo, piaccia o meno all’intellighenzia europea. Dire che sarà automaticamente il “capo” colui/colei che prende un voto in più, può essere un criterio, perfino giusto, ma tutti sappiamo che difficilmente supera, di per sé solo, lo stress applicativo della competizione e poi del governare. Occorre negli aspiranti un supplemento di “magnanimità”, di tensione intellettuale, di dignità comunicativa, fortemente percepibili. Tutti ne riconosceremmo la presenza, desiderosi di rifondarci una speranza.

articolo pubblicato il: 19/02/2022 ultima modifica: 07/03/2022

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