In fotografia l’amatorialità è un fenomeno complesso, in buona parte perché nel momento stesso in cui esso si manifesta, il senso del termine amatore si evolve. Come ha scritto il pittore e scrittore Francis Picabia, “nel vocabolario francese esso non indica esattamente la stessa cosa all’inizio e alla fine dell’800. Nei primi decenni l’amatore è accomunabile al connoisseur inglese. E’ colui che ama e coltiva, con una certa nobiltà di spirito, le scienze o le arti … sul finire dell’Ottocento esso comincia ad acquisire una connotazione peggiorativa che si confermerà per tutto il Novecento e perdura ancora ai nostri giorni”. L’amatore, cioè, viene visto come “dilettante”: per lui – continua Picabia – “il soggetto dell’immagine conta molto più della maniera di ottenerla, come risulta perfettamente evidente nelle fotografie del giovane Jacques Henri Lartigue” (Courbevoie, Île-de-France, 1894 – Nizza, 1986); a lui non interessa tanto provare la sua abilità nello scattare un’istantanea, quanto piuttosto conservare la memoria di momenti di svago e divertimento trascorsi in compagnia di parenti e amici. Per Lartigue, come per la maggior parte degli amatori dilettanti, la “foto ricordo” ha decisamente la meglio sulla “prodezza fotografica”.
Ciò non toglie assolutamente nulla all’originalità, all’ironia, alla raffinatezza delle sue immagini, oltre che alla memoria storica che esse conservano e che ci tramandano attraverso una visione tesa a testimoniare momenti per lo più felici, scanzonati, specie per quanto riguarda la produzione più giovanile, guardati e immortalati con una prontezza nello scatto e con inquadrature a volte “spericolate”, che tradiscono un atteggiamento sempre “ludico” e divertito. Lartigue preferiva presentarsi come pittore, relegando la fotografia ad un puro divertissment; ma il caso vuole che, se è entrato in una “storia”, è quella della fotografia. Uno dei soggetti preferiti da Lartigue sarà rappresentato dalle eleganti dame a passeggio al Bois de Boulogne, che inizierà a fotografare a partire dal 1910, all’età di sedici anni. Ed è proprio grazie a queste immagini che successivamente verrà considerato come uno dei precursori della fotografia di moda. Sempre in questi anni inizia a delinearsi la filosofia che poi caratterizzerà non solo la propria arte ma l’intera sua vita: il culto della felicità, la ricerca di un idillio che non possa essere turbato da traumi profondi.
Una grande retrospettiva (“L’invenzione della felicità. Fotografie 1894-1986”) curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci a Venezia, e promossa dalla Regione Lazio, è ora allestita al WeGil di Roma, hub culturale della Regione Lazio a Trastevere, per ripercorrere l’intera sua carriera, dagli esordi dei primi del ‘900 fino agli anni ’80 e di evidenziare come il suo occhio fotografico si fissi su alcuni ironici o curiosi dettagli della vita di tutti i giorni lungo ben nove decenni. Come ebbe a scrivere Angela Madesani in occasione della bella mostra che fu presentata tre anni fa al Museo Bagatti Valsecchi di Milano, “L’inizio dell’attività dell’autore coincide con la fine di un mondo e con il brutale risveglio da un sogno, segnato dallo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914. Ma, anche qui, Lartigue non registra nulla di tragico: ritrae la madre vestita da crocerossina, qualche gruppo di soldati e se stesso in uniforme (anche se non era stato fatto abile). In questi primi anni il suo lavoro è dedicato al movimento, che si tratti di quello umano, di quello delle automobili (il padre ne possiede una elettrica già nel 1902) o anche di quello del gatto che salta felice. Il movimento è il nuovo, è il futuro, così anche per i nostri Futuristi con i quali non vi è certo nessuna parentela stilistica, ma uno Zeitgest, vale a dire uno spirito culturale che informa una determinata epoca: sono tutti figli del Positivismo”.
“La ‘parte di mondo’ di Lartigue - scrive Denis Curti nel suo testo nello splendido catalogo bilingue edito da Marsilio - è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora”. Tuttavia, Lartigue non è più da tempo il fotografo amatoriale di inizio secolo. Dagli anni ‘40 pubblica le sue fotografie su riviste, combinando i suoi incontri mondani e le inquadrature ricercate. Dopo l’approfondimento del periodo della sua riscoperta, le ultime sezioni si concentrano sugli anni ‘70 e ‘80, segnati dalle collaborazioni con il mondo del cinema, dove lavora come fotografo di scena per numerosi film, e della moda. L’occhio di Lartigue, tuttavia, non riuscì mai ad allontanarsi dalla vita di tutti i giorni, immortalando sempre molti dettagli curiosi e carichi d’ironia.
articolo pubblicato il: 02/11/2021