I più giovani lo hanno conosciuto solo per la sua perfetta caratterizzazione dello zio in "La vita è bella" di Benigni. Giustino Durano, morto il 18 febbraio scorso a 79 anni, è stato invece il più poliedrico uomo di spettacolo italiano degli ultimi cinquanta anni.
Artigliere, aveva debuttato ventunenne in uno spettacolo per le forze armate. Da allora la sua vita è stata un continuo percorso all'interno dei più disparati generi, dall'avanspettacolo alla commedia musicale, dalla lirica al teatro impegnato, senza tralasciare spazi scenici alternativi o decisamente di terz'ordine.
Nei primi anni cinquanta, insieme a Dario Fo e Franco Parenti, rivoluzionò il teatro comico, ma ciò non gli impedì di dedicarsi alla commedia musicale di cassetta al fianco di Wanda Osiris. Accanto al cinema, alla radio, alla televisione, si esibisce con Mina alla Bussola di Viareggio, recita "Pierrot lunaire" sotto il tendone del circo Togni, interpreta Weiss e Gor'kij sotto la regia di Strehler, canta nei piano bar e si esibisce come fantasista negli alberghi; non esita a passare, nel corso di una stessa stagione, dal ruolo di caratterista pirandelliano a quello di spalla di spogliarelliste, completamente privo di quella spocchia tipica dei falsi intellettuali.
Alla fine degli anni ottanta ebbe ancora il piacere di debuttare come baritono nel "Barbiere di Siviglia" al teatro dell'Opera di Roma e la soddisfazione di un Nastro d'argento per la sua interpretazione nel film di Benigni (con il piacere di aver partecipato a un'avventura da premio Oscar).