I reati a mezzo stampa vengono stabiliti dalla legge sulla libertà di stampa del 1881,
sicuramente la legge più antica del Continente e quella che ha ispirato altre legislazioni europee,
come quelle italiane e spagnole. L'influenza del Diritto francese è stata determinante nel sistema
giuridico continentale.
I reati sono due, la diffamazione (art. 29, comma I) e la ingiuria (art. 29, comma II).
Diffamazione: "Ogni attribuzione o imputazione di un fatto che reca danno all'onore o alla
considerazione della persona o al corpo al quale il fatto viene imputato è una diffamazione".
Ingiuria: "ogni espressione oltraggiante, termini di disprezzo o invettiva che non contenga la
imputazione di un fatto".
Vediamo quindi una prima differenza, l'imputazione o non di un fatto. Alle volte no sarà
semplice determinare se si tratta di un fatto o di un insulto ("ladro", "assassino"). Dipenderà dal
contesto, così come un insulto può essere un scherzo affettuoso.
Diffamazione
La giurisprudenza posteriore ha delineato le caratteristiche del "tipo penale", del reato. Esso
deve includere sei elementi:
1) Non vi è differenza tra l'attribuzione e l'imputazione, nonostante l'uso linguistico potrebbe
portare a pensare diversamente ("allégation" in francese connota l'evocazione di un fatto riferito da
un terzo). I tribunali hanno giustamente prevenuto contro i tentativi di aggirare la legge attraverso
figure del linguaggio più morbide: così affermazioni messe in condizionale o sotto forme
interrogative, insinuazioni, ecc., insomma tutte le sottigliezze che il linguaggio consente per
nascondere l'animus difamandi. Ovviamente resta al giudice la determinazione del carattere ipocrita
delle precauzioni verbali, nel suo caso, o le sfumature linguistiche dello scrittore scrupoloso che non
vuole offendere.
2) Il testo o le parole "incriminate" devono imputare un fatto preciso e determinato.
Chiamare qualcuno "ladro", ad esempio, non comporta diffamazione se non vi è allusione o
riferimento ad una condotta criminale. Sarebbe invece una ingiuria palese se proferita come insulto
non come scherzo amichevole. Altre volte, termini in se stessi non vessatori possono diventare una
diffamazione dovuto alle circostanze esterne alla frase. Sarà quindi il contesto linguistico a fornire il
senso dell'affermazione diffamatoria o meno. La Corte di Cassazione ha fissato il criterio su cosa
debba intendersi per "fatto preciso e determinato": "quello che può essere oggetto di prova e di
dibattito contraddittorio (confronto)" (Crim., 15 giugno 1984; TGI Parigi, 2000).
3) "fatti che per la propria natura recano danno all'onore o alla auto considerazione". Qui
bisogna stare alla accezione abituale del linguaggio, vale a dire ai fatti offensivi in se stessi.
Ovviamente, la considerazione di sé cambia a seconda del soggetto; così biasimare uno storico con
l'accusa di "triturare la storia per renderla conforme alle proprie tesi" e' offensivo; accusare di
"riciclaggio di soldi in nero", accusare di "essere in collusione con la mafia", rinfacciare ad un
avvocato di "tradire la fiducia del proprio cliente e di adottare un comportamento indegno e violare
le regole della professione", ecc., sono offese diffamatorie. Invece non lo sarebbe affermare che un
tale politico protegge gli interessi della lobby del petrolio o dire di qualcuno che "non ama i
bambini".
4) La vittima della diffamazione deve essere una persona o un "corpo" (persona morale)
identificata chiaramente o per lo meno identificabile. La vittima deve essere stata nominata
dall'articolo offensivo non come caso di un collettivo o gruppo sociale o professionale: "Rispetto gli
omosessuali in quanto infermi. Ma se vogliono trasformare la loro malattia in salute, devo dire che
non sono d'accordo". L'ecclesiastico che aveva proferito queste parole non fu condannato nella
querela sporta da un omosessuale a titolo personale.
5) Intenzione colpevole: "mauvaise foi" (cattiva fede). Vuol dire che si presume l'intenzione
diffamatoria, a meno che si provi il contrario. Qui si osserva nettamente la differenza con il sistema
nordamericano nel quale chi sporge querela contro il giornalista deve provare la malizia, il peso
della prova ricade sull'accusato.
La parte in causa può richiedere l'esimente di "buona fede", il che racchiude quattro
condizioni: interesse sociale predominante, assenza di animosità personale, prudenza e misura nelle
espressioni ingiuriose e, infine, verifica delle informazioni in possesso delle fonti e qualità e
affidabilità dell'inchiesta. Non basta quindi essere convinto della verità dei fatti o intendere
"formare l'opinione pubblica" o avvalersi di scuse sulla difficoltà di verificare l'informazione. Vale a
dire, il giornalista deve dimostrare di aver agito con rigore professionale.
6) L'eccezione della verità (exceptio veritatis). Significa che se si prova la verità delle
imputazioni non sussiste il fatto, non vi è reato quindi, non vi è diffamazione. L'eccezione però non
è illimitata, cioè ci sono fatti diffamatorie pur essendo veri, come quando riguardano la vita privata,
risalgono a 10 anni o costituiscono infrazioni o delitti prescritti o indultati.
Ingiuria
La figura del reato di ingiuria è più semplice e si avvicina di più al senso colloquiale del
termine: oltraggio, offesa, insulto, sfregio
L'enumerazione deve intendersi nel senso più ampio,
non come elenco di figure diverse, ma come indicativo della natura e della finalità dell'ingiuria.
Anche qui il contesto, culturale e storico, gioca un ruolo determinante nella qualificazione
del delitto. Il termine "fascista" in Francia era ritenuto fortemente ingiurioso all'indomani della
Guerra mondiale; non lo era invece nell'anno 1938 e torna anche innocuo, relativamente, nel 1960
(Trib. de la Seine, 1959).
A differenza della diffamazione, la ingiuria non suppone la imputazione di un fatto
criminale. Chiamare qualcuno nazista è una ingiuria, sebbene possa diventare diffamatorio a
seconda del contesto. Dire dei magistrati che sono "struzzi del governo" diviene diffamatorio.
L'ingiuria presenta anche unesimente, la scusa di provocazione. Se l'ingiuria è stata proferita
come risposta a caldo ad una provocazione non è più punibile. La giurisprudenza interpreta la
reazione ingiuriosa quasi come difesa, quindi la provocazione diventa una esimente del delitto.
Finalmente, si deve aggiungere che la legge di stampa del 1881 considera come diffamazioni
e ingiurie speciali quelle rivolte al Capo dello Stato, alla magistratura, all'esercito e a determinate
autorità pubbliche. Le pene salgono.