Se non si fosse trattata di una tragedia ci sarebbe da ridere. Uno dei pochi ufficiali italiani che, nel dissolversi dell'esercito italiano, l'otto settembre del 1943, trovò la forza e il coraggio di opporsi ai tedeschi, finì fucilato, a guerra conclusa, da un plotone di esecuzione inglese.
La fine tragica di Nicola Bellomo, generale di brigata, fu dovuta ad una serie di elementi scritti nel suo DNA. Il generale aveva alle spalle una lunga carriera nell'arma di artiglieria, ma le promozioni furono lente malgrado una brillante partecipazione ai combattimenti della prima guerra mondiale ed un eccellente stato di servizio solo perché aveva un pessimo carattere; autentico terrore dei sottoposti, non conosceva l'arte di arruffianarsi i superiori e quella di fare amicizia con i parigrado. Ci sarebbe da ridere perché il generale Bellomo era lo stesso che si era rifiutato di obbedire all'ordine di fucilare un sottotenente dei commandos inglesi che aveva ucciso due civili e perché la sue disgrazie avevano origine nel fatto che aveva difeso dai tedeschi il porto di Bari, guadagnandosi non riconoscenza ma avversione dai suoi superiori che erano rimasti a guardare. C'è da aggiungere che un pessimo carattere lo aveva anche scrivendo, per cui nella sua relazione nei fatti del porto aveva messo in evidenza il comportamento fellone dei colleghi (un'altra volta aveva scritto che la contraerea, fiore all'occhiello della Milizia, era del tutto inadeguata).
Il fattaccio che causò la sua morte avvenne nel pomeriggio del 30 novembre 1941. Il generale fu avvisato a teatro che due ufficiali inglesi erano scappati dal campo di concentramento di Torre Tresca. Recatosi irritatissimo sul posto perché aveva dovuto abbandonare uno spettacolo teatrale si mise sotto i tacchi il comandante del campo e si calmò un poco solo quando gli furono portati davanti i due ufficiali riacciuffati. A quel punto avvenne una commedia degli equivoci, con il generale che credeva che i prigionieri facessero finta di non capire il suo "fluente" inglese, scambiato però dai due per un cattivo francese, e con gli inglesi che tentarono di mettersi a correre dietro un albero, spaventati dai colpi dei calci dei fucili dei soldati che volevano "fare la faccia feroce" davanti al generale. Qualcuno sparò e un inglese restò morto a terra.
Due volte il generale fu scagionato in inchieste aperte dal quartier generale italiano e dalla Croce Rossa internazionale, ma gli inglesi lo arrestarono in violazione di ogni diritto e ciò gli fu fatale. Si trattò sempre di denunce anonime, probabilmente avanzate da qualcuno fra le centinaia di ufficiali che il generale nel 1942 aveva tirato fuori dagli uffici per inviarli al fronte quando aveva avuto l'incombenza di recuperare personale (incarico presto toltogli in seguito a proteste in alto loco). Dopo sedici mesi di internamento fu trasformato in prigioniero di guerra (si trattava dell'estate del 1945), processato in pochi giorni e condannato in pochi minuti, in inglese e con un avvocato inglese d'ufficio. In linea con il suo carattere, rifiutò di chiedere la grazia e di evadere, come avrebbe potuto. Morì adirandosi perché non voleva essere bendato.