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attualità
del pubblico e del privato
di Piero Pastoretto

Nei rapporti tra gli individui la minaccia e l'uso di mezzi atti ad offendere o comunque coercitivi per imporre la propria volontà si chiama violenza; nell'esercizio della propria sovranità da parte degli Stati, questo medesimo elemento si chiama forza. È necessario distinguere bene questi due elementari concetti, altrimenti non si capisce più nulla né della vita, né della politica: grave difetto, mi si concederà, in entrambi i casi. Eppure sempre più diffuso - colpevolmente aggiungerei - nei ragionamenti di tanta parte dell'intellighenzia italiana.
La forza di uno Stato si esercita nell'ottemperanza e sotto la sorveglianza delle leggi e del diritto; la violenza, invece, è in ogni caso ex lege e contra ius. La forza è sempre e soltanto pubblica. La violenza è sempre e soltanto privata. Violenza è ad esempio avventarsi minacciosamente con un estintore in mano contro una camionetta dei carabinieri; forza è invece disporre d'autorità la presenza di uomini armati per la tutela dell'ordine pubblico a Genova.
Se gli uomini fossero come le anime beate del Paradiso dantesco, che tacciono o intrecciano cori e danze all'unisono perché tutte conformate alla volontà divina che le "sazia", non ci sarebbe bisogno di forza. Ma poiché non siamo né angeli né beati, affermare che è immorale per uno Stato l'uso della forza nei confronti dei propri cittadini e nei rapporti con gli altri Stati è un non senso. Anche nelle repubbliche più democratiche di questo mondo la sovranità del popolo - del popolo, dico, e non di un tiranno - che ci piaccia o no è tutelata dalla forza che lo Stato possiede per diritto. Nella Repubblica Italiana esistono, ad esempio, una forza di pubblica sicurezza e delle forze armate.
Un discorso simile va fatto anche per la morale. Esiste infatti una morale privata che non coincide affatto con l'azione politica, la quale obbedisce a tutt'altri principî, che vanno ricercati nell'interesse e nel bene pubblico. Uno Stato ad esempio punisce l'omicidio fra i suoi cittadini, ma può ordinare ai propri cittadini in uniforme di uccidere in caso di guerra; lo Stato può confiscare i miei beni che sono frutto di un crimine, ma un privato non può sottrarmi quei medesimi beni senza commettere a sua volta un crimine; lo Stato può privarmi della libertà se ho violato la legge, ma punisce il sequestro di persona di un cittadino anche se attuato per buoni motivi. E ciò perché Lo Stato è una persona giuridica dotata per convenzione di sovranità che vuol dire potere supremo, mentre l'individuo è una persona fisica sottoposta alla legge. Stupisce come fra i pronipoti di Machiavelli, che pure avrebbero dovuto leggerlo almeno sui banchi di scuola, si faccia tanta confusione.
Molti contestatori, magari laureati in giurisprudenza, non distinguono, o fingono di non distinguere certe abissali differenze fra il pubblico ed il privato, fra l'imperium ed il mos, fra la politica e il singolo. Pretendono così che uno Stato perdoni, faccia beneficenza, estingua i debiti altrui, rinunci alla propria difesa, disarmi la forza pubblica. Talvolta invece, curiosamente, si arrogano dignità e poteri pubblici, e pretendono allora di "dichiarare guerra allo Stato", come è accaduto a Genova, o di essere riconosciuti come controparte, al modo delle brigate rosse negli anni Settanta.
La democrazia è poi per molti un'opinione. La Costituzione, un fumoso trattato di metafisica. Le leggi, degli optional alle quali ubbidire soltanto se ci garba. Lo dimostrano alcuni elementi di un Ordine dello Stato, la Magistratura, che contestano le disposizioni approvate dalle Camere e decidono di non applicarle nei giudizi. Oppure certe organizzazioni le quali, bontà loro, dopo alcuni episodi di violenza avvenuti in qualche manifestazione da loro organizzata, promettono che la prossima o le prossime saranno del tutto pacifiche. Ma non aveva detto così una volta anche Mussolini, quando promise alla Camera che sarebbero cessate le violenze fasciste?
Quel che manca oggi, in definitiva, è il senso dello Stato. Un esempio solo per concludere: un mio giovane studente liceale, schierato contro l'intervento italiano a fianco degli Stati Uniti, ad ottobre affermava che il Governo avrebbe dovuto chiedere l'opinione degli Italiani, perché in questo consiste la democrazia. Alla mia risposta - che la politica estera non è fatta dal popolo ma dal Governo con l'accordo del Parlamento, che la Costituzione non prevede questa forma di referendum, e che la decisione era stata presa con una maggioranza schiacciante - non si dichiarò convinto, e disse che tutto ciò non era democratico.

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