Il 14 maggio dello scorso anno il voto di milioni d'elettori cambiò in modo più che sensibile la composizione delle assemblee legislative. Quel voto era un invito specifico a cambiare le politiche governative - dopo cinque anni di centrosinistra - e così in un certo senso è stato. Ma non tutto è filato liscio ed in qualche misura il governo presieduto da Berlusconi sembra arrancare nel portare avanti le iniziative e i programmi proposti agli elettori. Non sono state certamente le sinistre - aspramente criticate di non sapere fare l'opposizione, dagli estremisti sotto le spoglie d'intellettuali e cinematografari - a bloccare con le loro iniziative parlamentari quelle del governo, perché ogni volta che la maggioranza lo ha voluto si è fatta regolarmente rispettare.
C'è allora qualcosa che non funziona nella compagine governativa tanto da impedire che si possa andare speditamente avanti? Sui temi del lavoro e delle pensioni e sui rapporti con le organizzazioni sindacali, le incertezze e le esitazioni sono evidenti a tutti, sulla riforma della scuola i piani sono stati ripetutamente rivisti, sulla vicenda della RAI è meglio chiudere gli occhi. Il male oscuro che rischia di impantanare il governo e la stessa maggioranza non va ricercato nella necessità evidente di cercare un accordo (non quale che sia) con le forze sociali pronte a difendere fino alle estreme conseguenze le proprie posizioni di potere, non è legato all'irrisolto problema del conflitto d'interessi del premier, ma probabilmente a qualcosa di più sotterraneo e nascosto, il ritorno cioè di una politica ambivalente di alcuni settori della maggioranza, le tentazioni di non dispiacere fino alla completa rottura, ad ambienti politici, culturali e giornalistici che l'hanno fatta da padroni da sessant'anni a questa parte in Italia.
Certo c'è il problema fondamentale della coalizione e dei quattro partiti che insieme hanno vinto le elezioni, ma che già in partenza nascondevano a fatica le loro differenze e le proprie pecularietà. Ora tutto ciò sembra venire a galla, qualche volta in modo evidente ed aperto (del tutto accettabile), altre invece in forme dissimulate e mascherate. Si potrebbe allora tornare a parlare dei soliti ribaltoni che hanno caratterizzato la vita politica italiana negli anni '90? E' presto per dirlo ed è anche difficile, ma esiste il rischio notevole di un ritorno all'instabilità, alla precarietà e alla debolezza operativa che tutti abbiamo visto nelle ultime legislature.