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cultura
il segreto dei fiamminghi
di Luigi Simonetta

Il celebre pittore inglese David Hockney, che vive da molti anni in California, ha pubblicato uno splendido e stimolante libro d'arte, non ancora tradotto in italiano, intitolato "Secret Knowledge" e cioè "Conoscenza segreta", dove sostiene che parecchi capolavori dipinti dagli artisti più celebri nei secoli che vanno dal XV° al XIX° sono stati realizzati con l'uso di uno speciale strumento, munito di lenti, e dunque una specie di rudimentale macchina fotografica. Lo strumento, chiamato "camera lucida", viene descritto da Hockney come un prisma posto su una base, e consentiva la visione della realtà attraverso le lenti e la sua proiezione su superfici piane dove gli artisti potevano, per così dire, "ricalcare" con fedeltà fotografica gli oggetti prescelti per la raffigurazione pittorica.
Hockney sostiene che il procedimento fu usato per la prima volta dai pittori fiamminghi negli anni intorno al 1430 e si diffuse poi anche in Italia e nel resto di Europa.
A dar man forte ad Hockney, fornendo un supporto scientifico alle sue teorie, è intervenuto uno scienziato di nome Charles Falco, che sostiene di poter stabilire il tipo di lenti impiegate da ciascun artista e ne fornisce spiegazioni e, a suo dire, anche dimostrazioni scientifiche. Dimostrazioni di diverso tipo, consistenti nel realizzare disegni con la proiezione di immagini attraverso un apposito "buco sul muro" le ha fornite, del resto, lo stesso Hockney in varie circostanze.
Ne è nata una discussione complessa e non di rado contrastata, in varie sedi, soprattutto accademiche, con la partecipazione di storici dell'arte ed altri esperti del settore artistico.
Naturalmente non tutti sono convinti della bontà delle teorie di Hockney che, in qualche modo, potrebbero ridurre il ruolo di celebri artisti a quello di modesti copisti della realtà. Così, l'utilizzo del supporto "ottico-meccanico" diminuirebbe di molto il prestigio quasi mitico della loro inarrivabile abilità tecnica.
Per la verità, Hockney non arriva a queste conclusioni ed anzi sostiene che, pur realizzate attraverso gli strumenti, le opere d'arte rimangono mirabili e straordinarie.
Proviamo anche noi ad esaminare le tesi dell'artista per cercare di stabilire se, e in che misura, ci sembrano fondate.
Anzitutto, l'ipotesi di utilizzo di lenti ottiche da parte dei pittori del primo rinascimento per realizzare una parte delle loro opere non è assolutamente motivo di scandalo. Probabilmente fin dalla preistoria i pittori utilizzarono le ombre proiettate dalle figure di uomini ed animali alla luce tremolante del fuoco sulle pareti delle caverne come mezzi per trasferirne le immagini sulla superficie dipinta.
Nel Rinascimento, avranno probabilmente usato delle lenti. In fondo, la novità sarebbe solo nell'anticipazione di oltre un secolo ipotizzata da Hockney nell'uso artistico di strumenti ottici, perchè si sapeva benissimo (molto prima che Hockney ne parlasse) che gli artisti del sei-settecento lo avevano fatto e nessuno se ne era mai scandalizzato. Ma, anche prima del seicento, alcune incisioni di Durer mostrano artisti che traggono immagini da una specie di macchina ottica dietro la quale si trova il modello da riprodurre.
Non sembra neanche improbabile che ad iniziare l'uso delle lenti o di rudimentali strumenti ottici possano essere stati gli artisti fiamminghi, perché la loro formazione era meno teorica di quella degli artisti italiani. Infatti tutti sanno che i fiamminghi erano dei minuziosi e analitici realisti mentre i pittori italiani cercavano piuttosto uno schema generale (che fu poi la prospettiva) da utilizzare per rappresentare tutte le cose visibili e, in qualche caso, perfino quelle invisibili:
Detto questo, però, non si è affatto spiegata la genesi dei grandi capolavori del Rinascimento. Infatti, l'utilizzo delle lenti potrebbe essere avvenuto in quei tempi soprattutto perché si rivelava utile ad un certo tipo di indagini sulla realtà che mirava, per l'appunto, alla conquista "ottica" del mondo. Si trattava, quindi, di un'ottica che formava un tutt'uno con un certo tipo di pensiero.
Del resto, la macchina fotografica, realizzata alcuni secoli dopo, non fu altro che il risultato di una impostazione ottico-scientifica che l'aveva preceduta e se da un lato oggi sappiamo che le immagini fotografiche non sono affatto "oggettive", d'altro lato possiamo anche immaginare che si arrivi, nel tempo, a realizzare nuovi tipi di macchine fotografiche basate su differenti presupposti tecnici e destinate a produrre immagini molto diverse ma non meno rappresentative della realtà.
Quello che fa di un pittore un vero artista è invece la potenza dell'immaginazione che lo porta a vedere in anticipo e selezionare immagini che aggiungono qualcosa di nuovo alla vita di tutti.
Se poi il nostro artista usa degli strumenti ottici oppure non lo fa, dipende da tante circostanze e dal tipo di visione che coltiva.
Infatti Hockney, pur ipotizzando l'uso di lenti anche da parte di artisti come Rembrandt o Leonardo, ammette che le loro opere non si possono ricondurre a procedimenti ottici di trasferimento delle immagini. Del resto lo stesso Hockney, riferendosi ad anni successivi all'invenzione della fotografia, paragona un'opera di Bouguereau ad una di Cézanne per riconoscere che l'espressività del secondo, almeno nell'arte moderna, conta più della riproduzione pseudo- fotografica attuata dal primo.
Nella seconda parte del libro, Hockney sembra quasi pentirsi dell'importanza troppo grande che ha dato all'uso delle lenti nella produzione di immagini artistiche e si orienta verso una rivalutazione della manualità del pittore. Ma non si tratta di sola manualità (e nemmeno, come suggerisce Hockney, di un semplice passaggio dal "mono-oculare" di Velazquez al "bi-oculare" di Cézanne), bensì di una visione che cambia perché cambia il modo di pensare le immagini.
Per concludere, il libro di Hockney sembra avere soprattutto il pregio di ricondurre l'arte figurativa ad un rapporto col reale che non può non avere un fondamento nella struttura ottico-mentale della percezione umana. Però ci sembra necessario prendere le distanze dal metodo suggerito da Hockney perché, seguendo la sua logica, si rischia di impoverire l'arte riducendola ad un mero strumento per produrre immagini attraverso i mezzi tecnici offerti dall'epoca in cui vive il pittore.
Per concludere, si può osservare che per un pittore contemporaneo l'utilizzo di immagini fotografiche è divenuto ovvio e perfino banale e lo stesso sta cominciando ad accadere per le immagini elaborate attraverso il computer, le fotocopiatrici, i fax, ecc. Però, se l'utilizzo di simili mezzi può essere utile e in qualche caso magari necessario, non è sufficiente ad elaborare un'opera d'arte pittorica di nuovo tipo. Perfino i disegni di Hockney realizzati attraverso il suo "buco nel muro" sono probabilmente meno interessanti ed originali di altre splendide cose da lui stesso disegnate o dipinte in passato, senza l'utilizzo di strumenti.

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