A più di quarant'anni dalla morte, ancora tanti italiani ricordano Alberto Talegalli, perito il 10 luglio del 1961 in un incidente stradale sulla via Flaminia, in località Categge di Gualdo Tadino, mentre tornava da uno spettacolo in Romagna.
Il ricordo di Talegalli è comunque qualcosa di strettamente personale per coloro che hanno superato la cinquantina, perché questo attore non viene citato, nemmeno di sfuggita, alla radio o in televisione, malgrado che alla radio e alla televisione degli esordi abbia dato tanto. Talvolta la sua figura appare su qualche piccola emittente che ripropone pellicole degli anni cinquanta. Aveva preso parte ad un numero enorme di film, mai come protagonista ma sempre (anche in certi "cammei" che si limitavano ad una sequenza) con un suo carattere ben definito e riconoscibile.
In realtà esistevano due Talegalli; il professionale caratterista che recitava tranquillamente in italiano al cinema e il "Sor Clemente", la maschera da lui inventata che ebbe uno straordinario successo radiofonico, televisivo e teatrale. Soprattutto in teatro (ma non disdegnava di esibirsi in qualsiasi tipo di locale) riusciva a creare il prodigio di un uomo di aspetto normalissimo che avvinceva l'uditorio senza muoversi, fidando esclusivamente sulla forza evocativa della sua parola.
Talegalli non aveva una "faccia", come Totò o Macario. Nato in una famiglia della piccola borghesia di Spoleto, aveva l'aria del tipico "impiegato di concetto" della sua epoca. Lo si sarebbe visto dietro la scrivania di un ufficio (cosa che per qualche tempo fece nella vita, prima di andare in guerra). L'intuizione geniale che ebbe e che fece ridere milioni di italiani fu quella di non voler essere il classico attore dialettale che porta in scena il campagnolo sguaiato o stupido. Il suo Sor Clemente era un arricchito che dalla natia Pincano (frazione di montagna di Spoleto) si era trasferito a Roma, in quel quartiere dei Parioli che rappresentava la quintessenza della ricca borghesia.
Il Sor Clemente non parlava il dialetto spoletino, ma l'ibrido di un campagnolo che vorrebbe parlare in modo raffinato ma che stravolge le parole, anche le meno difficili, non sapendole pronunciare. Il mondo altoborghese degli anni cinquanta, visto attraverso le descrizioni di un inurbato, alla prese con una moglie sempre tesa - senza minimamente riuscirci - ad apparire una gran signora, era reso con acuta ironia. Il Sor Clemente aveva l'accento spoletino, ma avrebbe potuto averlo ligure o lucano, triestino o trapanese; rappresentava tutti coloro che con il boom economico si erano trovati a vivere una parte per la quale non erano tagliati.