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cultura
la montagna dell'anima
di Luigi Simonetta

Quando, un paio di anni fa, lo scrittore cinese Gao Xingjian vinse il premio Nobel per la letteratura, mi domandai che cosa, e come, uno scrittore cinese potesse scrivere per interessare i membri dell'accademia del Nobel al punto da indurli ad attribuirgli il prestigiosissimo premio.
Qualche tempo dopo, andando in libreria, cercai le opere dello scrittore cinese ma vi trovai, tradotto in italiano, soltanto un racconto lungo intitolato "La canna da pesca di mio zio" che non volli leggere perché mi sembrava insufficiente a farmi un'idea adeguata alla presumibile importanza dello scrittore. Scoprii invece, poco più tardi, un libro di oltre 600 pagine, in edizione francese, terminato dall'autore verso il 1990 e recante il titolo allettante de "La montagna dell'anima". Lo acquistai, fidando nella mia buona comprensione del francese scritto.
Dalla prefazione al libro appresi che Gao Xingjiang, oltre ad essere romanziere, è anche drammaturgo e pittore, e vive a Parigi come rifugiato politico dal 1988.
Alla lettura dei primi capitoli il libro mi apparve interessante ma anche un po' noioso e non mi riuscì di apprezzarne subito l'impianto narrativo, suddiviso in brevi capitoli dove l' "io narrante" mutava continuamente.
Ma, proseguendo la lettura, la stranezza dei passaggi tra soggetti narranti mi sembrò perfettamente logica e, soprattutto, mi apparve funzionale al racconto di una serie di eventi dove si svela progressivamente al lettore occidentale un curioso paese (la Cina), in impetuoso mutamento ma anche molto diverso da come lo avevamo immaginato attraverso il cinema ed i reportages dei nostri giornalisti.
"La montagna dell'anima" è una sorta di viaggio iniziatico, che il protagonista compie alla ricerca delle sue radici e del senso della propria vita, vagando tra le province della Cina meridionale alla ricerca di una mitica montagna che gli darà la chiave dell'attesa rivelazione.
Ma quel che forse più interessa è il modo e il luogo in cui la ricerca si compie. Leggendo il libro possiamo apprendere che in quel paese, che ritenevamo completamente laicizzato da cinquant'anni di marxismo, le antiche religioni e superstizioni sopravvivono con una forza selvaggia che avremmo pensato esistere, oggi, solo nell'Africa primordiale e in poche altre regioni del mondo. E' vero che ovunque, anche nelle regioni più sperdute del paese, i "quadri" di partito descritti da Gao Hingjian conducono con favoritismi autoritari la gestione della realtà locale.
Quest'ultima, però, impone a sua volta ai "capi" locali un continuo adattamento, costringendoli ad accettare mentalità e fenomeni che sfuggono ad ogni inquadramento burocratico e razionale.
La stessa modernità tecnologica, impetuosamente portata in Cina dai crescenti legami commerciali e culturali con l'occidente, sembra venire assorbita da quel mondo arcaico, rurale, ancora attaccato alle proprie radici, senza riuscire ad apportare profondi sconvolgimenti ai suoi costumi di vita millenari.
Ma l'aspetto forse più interessante del libro di Xingjian sta nella tecnica narrativa che presuppone una concezione dei rapporti interpersonali che, a noi occidentali, appare del tutto nuova e diversa. Il primo capitolo del libro si apre con una narrazione in seconda persona (il "tu", per intenderci), in contrasto con quanto accade nei libri della nostra tradizione narrativa, dove il racconto si svolge quasi sempre in prima persona, oppure in terza persona. Ma ben presto, leggendo il libro di Xihngjian, ci rendiamo conto che il "tu" cui ci si rivolge, altri non è che lo stesso scrittore che parla a se stesso come fosse un altro. E, proseguendo di capitolo in capitolo, il "tu" iniziale viene spesso sostituito dall' "io" oppure da un misterioso "lei", che altri non è che una delle diverse presenze femminili che dialogano con il protagonista . Il libro si svolge così con continui rimandi tra le tre persone singolari dell' "io", del "tu" e del "lei", che narrano, intrecciandosi, le proprie esperienze, e illuminano i più vari aspetti della natura, della tradizione e della società in un ambiente esotico e misterioso come non ci saremmo proprio immaginato potesse essere ancor oggi la Cina.
Per chiarire meglio il discorso ed invogliarvi alla lettura di questo libro affascinante, ne ho tradotto per voi una pagina significativa..
"Tu sai che io non faccio niente di più che parlare a me stesso per distrarmi dalla mia solitudine. Tu sai che la mia solitudine è senza rimedio, nessuno può confortarmi, io non posso che far ricorso a me, come partner delle mie discussioni.
In questo lungo monologo, il "tu" è l'oggetto del mio racconto; di fatto è un me che mi ascolta attentamente, "tu" non è che la mia ombra.
Mentre ascoltavo attentamente il mio proprio "tu", ti ho fatto creare "lei", perché tu è come me, tu non puoi sopportare la solitudine, anche tu devi trovare qualcuno a cui parlare.
Tu hai dunque fatto ricorso a "lei" proprio come io ho ricorso al "tu". "Lei" deriva dal "tu" e, di ritorno, conferma il mio io.
"Tu", il partner dei miei dialoghi, hai convertito la mia esperienza e la mia immaginazione in relazioni tra "tu" e "lei", senza che sia possibile distinguere ciò che viene dall'immaginazione o dall'esperienza.
Se io stesso non posso distinguere la parte del vissuto e la parte del sogno nei miei ricordi e nelle mie impressioni, come potresti tu operare una distinzione tra la mia esperienza e la mia immaginazione? Inoltre, questa distinzione non ha alcun senso reale.
"Lei", creata dalla tua esperienza e dalla tua immaginazione, si è trasformata in ogni sorta di fantasmi, lei si è messa in vista per attirarti soltanto perché tu volevi sedurla, non potevi sopportare la tua solitudine..."
(da "La montagna dell'anima" di Gao Xingjian, capitolo 52).

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