Se ne è parlato recentemente a Bangkok: quattrocento dei seicento milioni di persone disabili del mondo vivono in un'area geografica relativamente ristretta, il Sud-est asiatico.
Nel corso della cinquantottesima sessione di lavoro del CESCAP (Commissione sociale ed economica delle Nazioni Unite per l'Africa e il Pacifico) si è dibattuto intorno a questo problema sociale di enorme rilevanza.
Si tratta di un circolo vizioso: la povertà spesso genera alcolismo, malattie invalidanti senili, disabilità da denutrizione; a sua volta la disabilità impedisce di lavorare (per molte persone in quella zona l'unico lavoro possibile è quello manuale) e genera altre sindromi.
Certamente non è con i simposi internazionali che si risolvono i problemi di centinaia di milioni di esseri umani. La formazione professionale è necessaria per fare in modo che i disabili (quantomeno i più giovani) possano avere una speranza in un futuro di decoroso sostentamento. Strutture di riabilitazione sono altresì necessarie per ottenere un regresso o un arresto delle malattie invalidanti.
Se si guarda con freddezza alla dimensione del fenomeno e alla situazione politico-istituzionale di quei paesi ci si rende conto che il problema è di difficile soluzione e non certo in una prospettiva di breve termine.