Il Consiglio Comunale di Spoleto ha infine approvato un documento all’unanimità sull’assurda e gravissima vicenda dell’Ospedale “messo in quarantena”. Alla buon’ora. Lo spettacolo di un civico consesso che, per ostilità o frustrazioni personali o per istigazione delle segreterie di partito, si divide nel momento in cui la Città – unita e determinata come non mai, per quanto si vede e si sente – esige la massima compattezza, non era francamente tollerabile.
Ovviamente, quando da più documenti si arriva ad uno, questo di solito è un collage di premesse e conclusioni dalle sfumature diverse. Ma insomma, le indicazioni essenziali ci sono. Intendiamoci, la mozione di un Consiglio Comunale è una statuizione cittadina, non vincola e non impegna politicamente se non il Sindaco e l’Amministrazione. E nel disgraziato “affaire” dell’Ospedale, puoi “impegnare” la tua Amministrazione a tutto quel che vuoi. Essa resta alle prese con chi andrebbe realmente “impegnato”: col Governo, sotto i profili statali, ma soprattutto con la Regione, cioè proprio quella che – essendo competente nella materia – ti ha assestato il colpo. E questo, chiunque si trovi o si fosse trovato a fare il Sindaco, senza un solo parlamentare che sull’argomento scenda in campo per il comprensorio spoletino, né un solo consigliere regionale, di maggioranza o di opposizione, che abbia inteso mettersi in gioco per tutelare il buon diritto di una delle principali città dell’Umbria: a Palazzo Cesaroni, nel dibattito sulla sanità nell’emergenza, non risulta che alcuno abbia sollevato il “caso Spoleto”…….tutto dire! Ma naturalmente non mancheranno gli ipocriti ed egoisti, o i sociologi a casa degli altri, o gli opportunisti dell’autotutela politica, che definiranno “campanilista” un così esplicito e realistico ragionamento! Ecco perché ci hanno confortato, nelle settimane scorse, i non pochi messaggi di condivisione giuntici da più parti dell’Umbria: concordano che non siamo di fronte ad una spiacevole evenienza localistica, ma ad un grosso problema politico di rapporto tra governanti e governati.
Le questioni del giorno
Sono molto importanti. Non possono essere coperte dal clima di emergenza, che pure vede ciascuno di noi esposto ai seri rischi del contagio (non vogliamo neanche parlare dell’irresponsabilità di negazionisti e minimizzatori).
Un caso per tutti. Tra le troppe altre vittime dell’epidemia, si è spenta nell’Ospedale di Città di Castello, per Covid 19, in età veneranda ma valide facoltà mentali, Rina Rambotti vedova Mariani. Una distinta e amatissima signora spoletina, che è stata l’emblema vivente dell’amore e del servizio verso il prossimo, per decenni guida e animatrice del Volontariato Vincenziano, dell’Azione Cattolica, dell’UNITALSI, del Centro di Ascolto in carcere, oltre che partecipe di più associazioni culturali e civili. E’ dunque spirata lontana dalla sua città, dall’Ospedale di cui era stata benefattrice, dai figli Mario e Giulio Cesare, ai quali rinnoviamo il nostro affettuoso cordoglio. Ora – premesso che nelle braccia del Padreterno si torna, perfettamente allo stesso modo, partendo da Spoleto o da Città di Castello o da Pietralunga, Otricoli o Montegabbione – la domanda che sentiamo circolare è: perché la signora Rina è finita a morire a Città di Castello (come del resto altri spoletini), se TUTTO l’Ospedale di Spoleto, caso unico e non assimilabile ad altri, è stato svuotato per dar luogo esclusivamente a Centro Covid, con previsione di (si disse) 40, poi (si è detto) 70-80, poi (si dice) 117 o più posti letto Covid?
Non è difficile prevedere risposte di emergenza tecnico-funzionale, per cui i pazienti vanno smistati tra i nosocomi secondo le evenienze. Certo, anche dei tifernati sono deceduti a Spoleto, così come altri ammalati sono ricoverati in luogo diverso dalla residenza. Ma la gente ha diritto a qualche delucidazione in più. Se a Spoleto ci sono tutti questi posti letto Covid, dobbiamo allora pensare che manchino i sanitari (anestesisti-rianimatori, pneumologi, infettivisti) e infermieri qualificati. E’ per questo che li si va a prelevare in altri Ospedali, con ripercussioni sui rispettivi reparti e la protesta delle relative comunità? Sarebbe allora stato decretato un Centro esclusivo Covid senza disporre da subito del personale, senza il quale servono a nulla gli stessi posti letto? I grossi titoli di tutti i quotidiani lo denunciano senza mezzi termini. In Consiglio comunale si parlò esplicitamente di “dati caotici e inattendibili”, inseguendo i quali non si capisce se in un quel certo giorno “risultano liberi 2 posti in intensiva” oppure se, come da dashboard regionale, “sono 43 i ricoverati di cui 15 in terapia intensiva”. E “Il Messaggero”, già il 24 novembre, aggiungeva: “Nell’Ospedale Covid di Spoleto, ad esempio, può accadere che per avere il consulto di uno pneumologo sia necessario attivare il telecollegamento con l’Ospedale di Foligno”. Possibile? Sembra proprio di sì, se poi, nel Consiglio Comunale del 30 novembre, con la presenza in videoconferenza del dott. Bertolaso – consulente straordinario della Regione – la si è detta ancora più chiaramente. Il consigliere dott. Marco Trippetti (stimato anestesista-rianimatore impegnato proprio nell’Ospedale di Spoleto) ha denunciato “difficoltà logistiche, con due rianimazioni dislocate in ali diverse dell’ospedale, con la seconda improvvisata in fretta e furia in quattro stanze del vecchio padiglione e con soli tredici anestesisti-rianimatori che si dividono di qua e di là”. Confermata anche la carenza delle figure professionali sopracitate e, peggio, “non è disponibile 24h il cardiologo”(!).
Le cronache riferiscono che anche il dr. Bertolaso (che è un medico) sarebbe rimasto interdetto a queste rivelazioni e si sarebbe ripromesso di provocare interventi “entro 48-72 ore”.
I cittadini però, che non sono medici ma comunque persone di buon senso, ci chiedono: “E questo, anche a volerlo così “riconvertire”, sarebbe un Centro speciale covid, con le efficienze e garanzie di un Centro a ciò specificamente deputato?”. Altri ci hanno chiesto come dover leggere il fatto che dieci associazioni volontariali (con lodevole intento) si sono sentite in dovere di mobilitarsi per fornire a sanitari e infermieri indumenti e dispositivi di protezione, oltre a strumenti di supporto…….Questa, cioè, sarebbe l’organizzazione di un centro covid specializzato, per far posto al quale si è sbaraccato un Ospedale dell’Emergenza-Urgenza (o Accettazione, come altri indecifrabilmente lo chiama)?
Ce ne giungono molte altre ancora, giorno per giorno, per una Spoleto in cui – ripetono gli abitanti della città e delle frazioni – per decreto “non si può più nascere né morire”! Ma, alla fine, non compete a noi evidenziare le singole fattispecie. Ci sono i consiglieri comunali, il Comitato di monitoraggio istituito dal Sindaco, il Tribunale del Malato……ognuno svolgerà il suo ruolo.
Parliamo delle prospettive
Durante queste cose evanescenti che sono i Consigli Comunali in videocollegamento, il Commissario straordinario della ASL 2 Umbria dott. Massimo De Fino avrebbe affermato che, una volta superata l’emergenza Covid, quello di Spoleto diventerebbe un “Ospedale di nicchia”. Ed ha aggiunto lo slogan (che deve essergli sembrato molto “in”, molto alla moda, molto “efficientista di mercato”, come se stessimo parlando dei prodotti tipici dell’eno-gastronomia): “Distinguersi per non estinguersi”………Se non erriamo, è lo stesso dott. De Fino che in precedenza aveva concretizzato il suo pensiero affermando che Spoleto può restare “compressa” tra Terni e Foligno……
Ora, al di là di quest’ultima… straordinaria intuizione geografica, balza in prima linea il problema politico, non creato, ma piuttosto portato a galla, dalle sconcertanti parole del Commissario De Fino. Ha parlato a titolo personale – cosa che sarebbe già molto grave, essendo egli al timone della ASL Terni/Spoleto/Foligno/Orvieto – oppure facendosi portavoce dei propositi della Giunta Regionale, di cui è “fiduciario” e dei cui programmi è organo esecutivo?
Come si conciliano le sue allarmanti espressioni con la “delibera di indirizzo” 4 novembre 2020 della Giunta Regionale – che stabilisce la ricostituzione di tutti i reparti e servizi esistenti prima dell’emergenza, appena superata la stessa – facente seguito alla parola d’onore politico data dalla Presidente della Regione alla delegazione del City Forum spoletino e ribadita in teleconferenza stampa? Ed ha o non ha un conseguente valore la parola del consulente speciale Bertolaso che, pur non avendo un “mandato specifico per Spoleto”, ha confermato il proposito di veder ricostituito tutto l’Ospedale così com’era, coi suoi reparti, prima del Covid, e addirittura di “voler venire, anche da privato cittadino, a verificare che ciò avvenga effettivamente”?
Dire “Ospedale di nicchia” significa semplicemente minacciare un Ospedale pluri-disciplinare, organico alla rete Emergenza-Urgenza, di essere prospetticamente privato di quasi tutto, a cominciare dai reparti chirurgici, medici, diagnostici, materno-infantili, con imprescindibili UTIC e Rianimazione, per essere destinato a… che cosa? Quale sarebbe questa sedicente “nicchia”, di quale alta e vocata specializzazione, quando si sa benissimo che un nosocomio, anche per essere di effettive specializzazioni (non un mero stabilimento riabilitativo, per la qual funzione ci sono già anche in Umbria buoni Istituti), deve innanzi tutto essere un Ospedale a tutto tondo, dotato dei reparti e servizi classici almeno fondamentali?
A parte l’”estinguersi”, che non spetta ad un amministratore d’Azienda Sanitaria decretare, che significa “distinguersi” in un contesto come quello umbro? Da chi? Da che cosa? E qui veniamo al punto.
Spoleteide ospedale capitolo quattro
La specificita’ nel sistema umbro
Il dott. De Fino può anche sconoscere o ritenere ininfluenti gli antefatti della rete ospedaliera umbra. Altrettanto non è consentito agli Amministratori.
L’Umbria è sempre stata – sanitariamente e non solo – una realtà policentrica. Non è che gli Ospedali di una certa consistenza siano sorti e vissuti qua e là per caso. Sarebbe come pensare che il Duomo sia piovuto a Orvieto fortuitamente o che il Centro Fiere sia sorto a Bastia per occasionale stravaganza. L’Ospedale di Spoleto, al pari di quelli di Foligno e Città di Castello, è un caposaldo di questo sistema. Che poi i “tecnocrati de noantri” della Regione – durante gli anni della sinistra imperante – abbiano lavorato in senso neocentralistico, incitati anche da sanitari efficientisti a senso unico (precarizzando continuamente il polo ternano, chiudendo assurdamente il Punto nascita di Assisi, impoverendo progressivamente vari nosocomi tra i quali, appunto, Spoleto delle loro riconosciute eccellenze) è questione tutta da riprendere in esame. Ma pensavamo che lo si facesse, con la nuova Giunta Regionale, cambiando concettualmente l’approccio; non sposandolo e portando a conseguenze estreme in 24 ore, covidis causa, ciò che le precedenti Giunte avevano fatto fermentare durante i loro mandati.
Dentro questo assetto umbro – che è un patrimonio da preservare o ricomporre – c’è la “specificità” del Centro Umbria. Con due robuste realtà ospedaliere, Foligno e Spoleto, al servizio di comunità importanti e articolate, parzialmente vicine ma anche diverse. Negli ultimi decenni del secolo scorso, menti aperte (spoletini, folignati, trevani) coltivarono l’idea ambiziosa che potesse sorgere tra le due città, se disposte a rinunciare ai rispettivi stabilimenti, un unico nosocomio di qualificatissimo livello, con tutta la gamma delle specialistiche e forte dotazione professionale e tecnologica, tale da affiancare i poli perugino e ternano, insieme ai quali poi afferire (verosimilmente in contesto universitario) ad alcuni reparti di ancor più alta e sofisticata specializzazione, tali da demotivare la mobilità dei pazienti verso il fuori-regione.
Purtroppo, un mal usato baricentro del PD lorenzettiano fece fallire questa prospettiva, forzando per un nuovo Ospedale nel versante folignate-bevanate, che è divenuto sì una rispettabile struttura operativa complessa, ma alla quale è preclusa forse per sempre la promozione di ruolo che i più coraggiosi avevano immaginato. Come conseguenza di questa miope scelta logico-logistica (sui cui moventi restano anche pesanti e inquietanti interrogativi) si sono avuti tutti gli scompensi che i cittadini hanno sperimentato, nonostante l’encomiabile impegno del personale; e la inerziale tendenza a “drenare” risorse, servizi e utenza, da Spoleto e Assisi – minusvalenti demograficamente – per “giustificare” costi, dimensioni e operatività della struttura stessa.
Il problema specifico innescato ed oggi da riconsiderare è, dunque, non tecnico, ma tutto politico. Per esser più precisi, previamente politico, con abbondanti ricadute tecnico-organizzative.
Correttamente, si tratta (tratterebbe) o di ripartire dalla realizzazione del complesso unico intermedio DEU per Foligno-Spoleto-Valnerina, concorrendo ai fondi straordinari per l’edilizia ospedaliera (operazione invero non semplice). Ovvero piuttosto realizzare un’area ospedaliera, imperniata sui due ospedali DEU o DEA, ciascuno dotato dei reparti chirurgici e medici fondamentali, con i servizi 24h indispensabili alla loro efficienza, attivando però nell’uno o nell’altro, con equilibrata individuazione, tutte le specialistiche e i servizi che possono essere alternativamente raggiunti senza pregiudizio, in una strategia d’integrazione e proficua complementarietà. Fino ad oggi – diciamolo chiaramente, al solo fine di capire meglio il da farsi – ciò è avvenuto poco e non sempre bene, lasciando piuttosto che andasse avanti di fatto la deriva del “drenaggio”. Un governo regionale di validi orizzonti, coordinando virtuosamente gli amministratori delle città coinvolte, doveva/deve/dovrà riprendere in mano, prioritariamente, questo particolare, delicatissimo, ma anche suggestivo problema centrale del proprio territorio.
Ma che cosa ha fatto – in “occasione” dell’emergenza Covid – la Giunta Regionale? Ha messo i piedi nel piatto di siffatta situazione ed ha fatto incursione nella suddetta Valle Umbra, decretando tout court la chiusura totale di una delle due strutture ospedaliere DEU, per “riconvertirla” (sic e nelle modalità di cui sopra) ad esclusivo centro Covid. Così – mentre si continua a progettare, con piani aggiuntivi in sequenza, forse di Centro Fiere, forse dell’ex Milizia di Terni, forse di trasferte a Civitanova Marche ed altro – l’unica cosa effettiva decretata è la Covidizzazione di Spoleto (e di Pantalla) e il suo smantellamento come ospedale propriamente detto.
Ora, a parte il fatto che non si è mai ricordato lasciare un’intera plaga comprensoriale della nostra piccola Umbria – riferita ad una delle città più evidenti – priva di servizio ospedaliero ordinario, con questa inopinata operazione si è assestato un colpo proprio alla prospettiva di integrazione Foligno/Spoleto. Con serie conseguenze, non facili da prevedere e recuperare. E determinando un fatto politico, negativo, davvero senza precedenti.
Tale fatto, a ben pensare, si inscrive in uno scenario regionale nel quale situazioni, differenti ma raffrontabili, di “dualismo” sanitario, sono state affrontate nell’ottica della condivisione. Dagli ospedali di Gubbio e Gualdo Tadino è stato generato quello comune di Branca. Dagli ospedali di Todi e Marsciano è originato quello intermedio di Pantalla. Le stesse città di Narni e Amelia, pur tra ansie e rimostranze, si sentono riassicurare (quotidiani del 27 novembre), in un incontro ufficiale con la Presidente della Regione, l’Assessore e tutto lo Stato maggiore della Sanità e commissario ASL, che non solo si va avanti con l’Ospedale intermedio di Cammartana, ma che in esso saranno previsti “un reparto di ospedale di comunità, un Pronto Soccorso con OBI (servizio di osservazione breve)” e direttamente “la terapia intensiva”, cosa da DEU che fa presupporre una chirurgia importante….
Di queste ultime notizie, ammesso che poi trovino allocazione nel Piano Sanitario Regionale e siano compatibili con le determinazioni sull’Ospedale di Terni, siamo felici, di più, oltremodo confortati, conoscendo le angustie vissute (non da oggi) dalle comunità interessate.
Ma come mai contemporaneamente si lascia (o si autorizza o non si smentisce dall’autorità politica) che il commissario ASL De Fino preconizzi per il “quarantenato” Ospedale DEU, Spoleto, un residuale e minimalista destino “di nicchia”? Che il medesimo “intimi” allo stesso Ospedale di “distinguersi” oppure “estinguersi”?
Questo è il discorso politico. Il resto è fumo. Si inviti piuttosto il De Fino a fare l’amministratore commissariale e lasciare le decisioni di governo a chi è stato eletto per assumerle in prima persona e risponderne alla stregua della realtà che crea: nel caso specifico la realtà di una città spogliata dell’ospedale (dicesi dell’ospedale, non di un pur importante ufficio burocratico, e non esiste proprio città senza un ospedale); che addirittura – a quanto si apprende – non sarà abilitata neppure ad erogare i vaccini. Infatti il commissario all’emergenza Onnis comunica che si dovranno indicare al Governo solo quattro Ospedali funzionanti; prima, la Regione aveva individuato tutte le sedi DEU, più Castiglione del Lago ed eccetto Spoleto. Insomma un Centro speciale Covid, che però non può manco vaccinare contro il Covid! Insomma in queste faccende i tecnici non c’entrano, possono suggerire ma poi eseguono…e non andiamo a rivangare sui casi del recente passato sotto inchiesta. Anche perché ora è cambiata aria, non c’è più l’ordine incombente di scuderia partitica o correntizia, non si penalizzano più i territori che non hanno in Consiglio rappresentanti a difenderli, non si calano più decisioni dall’alto facendo blitz sui servizi appartenenti alla popolazione… O no?
articolo pubblicato il: 04/12/2020 ultima modifica: 15/12/2020