Tanti non sanno che cosa significa la parola Caporetto, tantissimi Lissa, quasi nessuno ricorda Taranto (la base navale attaccata dagli aerei inglesi che all'inizio, non alla fine della II guerra mondiale, misero fuori combattimento mezza flotta italiana) eppure tutti questi non esaltanti episodi della storia guerresca del nostro Paese sono stati richiamati alla memoria per la tragicomica spedizione della squadra di calcio nazionale in Giappone e Corea. Attenzione, però. non per sottolineare l'impreparazione, l'insufficienza, la scarsa attitudine dei nostri a combattere con decisione l'avversario, ma solo per dire che questa volta non abbiamo avuto santi in paradiso, che il destino (come il solito cinico e baro) ci ha voltato le spalle. Caporetto e Lissa furono forse quisquiglie rispetto alla valanga inarrestabile, all'orgia di improperi, camuffati da giudizi critici inarrivabili per serietà (poca) e saccenteria (troppa) che hanno caratterizzato la debacle azzurra in estremo Oriente.
La TV e la stampa non hanno fatto che esaltare e drammatizzare, senza mezze misure: arbitri comprati, complotti vari, accuse ai dirigenti ( ma ci sono ?) che non si sono fatti valere, insulti gratuiti a Paesi - quelli sì non hanno santi in paradiso quando si tratta soprattutto di fame e di crisi economiche - che avevano la sola colpa di voler riscattare almeno con il calcio un po' della loro secolare "schiavitù" nei confronti dei forti. L'unica valutazione da fare, ed è stata fatta a mezza bocca, come si dice, soltanto da qualche esponente più avveduto del carrozzone italiano del calcio, dirigenti, giornalisti, opinionisti, clown e ballerine, era quella più lineare ed onesta: ammettere la sconfitta di una squadra non all'altezza dell'impresa, esaltata fino al parossismo, illustrata come la più bella del mondo e finita come è finita. Ma i sogni e le fantasie finiscono, come si sa, all'alba, quella appunto del Sol Levante-