torna a "LaFolla.it" torna alla home page dell'archivio contattaci
cerca nell'archivio




ricerca avanzata


Google



contattaci

ingrandisci o rimpicciolisci il carattere del testo

speciale la Spagna ieri, oggi e domani
ascesa e declino di Juan Carlos
di Gabriele V. R. Martinelli

Qualcuno scrisse molti anni or sono che un giorno ci sarebbero stati solo cinque re, di cuori, di quadri, di fiori, di picche e d’Inghilterra. Non si può sapere se e quando questa profezia si avvererà, ma è certo che gli accadimenti di questi ultimi giorni fanno pensare che, almeno per quanto riguarda la Spagna, la monarchia non è mai stata così traballante, nemmeno nei giorni in cui i capi della Generalitat catalana indissero il referendum che doveva portare alla secessione. Il re emerito se ne è andato dal Paese, secondo alcuni per togliere dall’imbarazzo quello in carica, secondo altri per mettersi al riparo da un’eventuale azione penale nei suoi confronti. Solo dopo diversi giorni il portavoce della Zarzuela ha confermato che Juan Carlos si trova negli Emirati Arabi Uniti, ospite in un resort da dodicimila euro a notte.

Sembrano lontani anni luce i tempi in cui Juan Carlos I appariva come il pacificatore ed il traghettatore della Spagna dalla dittatura alla democrazia. Rimane come una di quelle foto di famiglia ingiallite dal tempo l’immagine dell’anziano presidente Pertini e del giovane monarca seduti ad un tavolino esterno del ristorante romano all’Antica Pesa, intenti a conversare come vecchi amici. Le cronache del tempo riportarono anche il menù, mozzarella di bufala, riso rosa, mazzancolle e insalata. Pertini bevve una birra gelata e Juan Carlos un Martini. Alla fine del pranzo Pertini tirò fuori il portafoglio e pagò il conto come se fossero stati due avventori qualsiasi. Era la fine di giugno del 1984 ed era la sesta volta che il giovane re e l’anziano presidente si incontravano, tra l’Italia e la Spagna.

Juan Carlos era all’apice della popolarità, diversamente da quanto sta avvenendo in questi giorni; nel 1977 si era avuto il cosiddetto Patto della Moncloa, osannato da tutto il mondo occidentale, nel 1981 era stato sventato sul nascere il tentativo del tenente colonnello Antonio Tejero di occupare il parlamento; L’ufficiale superiore della Guardia Civil cercava di emulare il generale Pavía, che nell’immaginario collettivo era entrato a cavallo nell’emiciclo del Congresso, mettendo fine alla prima repubblica, nel XIX secolo. Il cavallo di Pavía è diventato un modo di dire in Spagna, anche se, in realtà, il generale non era mai entrato a cavallo nel Congresso, limitandosi a far entrare un reparto della Guardia Civil con l’ordine di sgombero.

Solo molti anni dopo il tentativo di golpe di Tejero cominciarono a circolare strane voci su quella sera madrilena del 23 febbraio 1981. I soliti maligni dissero che, stante anche la complicità con gli insorti del generale Armada, maestro di scienze militari di Juan Carlos e suo uomo di fiducia, il golpe fallito non fosse un vero tentativo di colpo di stato, ma come un avvertimento ad un parlamento che non riusciva ad esprimere una maggioranza. Il re ne uscì per di più con l’immagine del difensore della democrazia, il che non guastava.

La fine della popolarità di Juan Carlos, il grande re democratico, è cominciata in un maledetto giorno della primavera del 2012, in Botswana. Una caduta con frattura multipla nell’accampamento rese noto a tutti dove il re si fosse trovato, e sui giornali di tutto il mondo apparve una fotografia in cui Juan Carlos era ritratto in posa davanti ad un elefante abbattuto; aveva accanto Corinna, la sua amante, più giovane di un anno di Elena, la sua figlia maggiore. Ma i problemi erano iniziati prima, con le disavventure di carattere penale del marito della figlia minore Cristina, poi allontanati ambedue dalla casa reale. Ma ci sono state anche tante altre cosucce che hanno appannato l’immagine di Juan Carlos, al punto da portarlo, prima alla triste decisione di lasciare il trono, poi a quella di lasciare la Spagna, seguendo le orme di diversi antenati.

Adesso sono molti gli affari opachi che vengono a galla, in Spagna come all’estero. Ma all’estero il mito del re che traghettò una nazione dalla dittatura alla democrazia persiste ancora, se soltanto il 9 agosto scorso, in un blog ospitato da “Il Fatto quotidiano” si parlava della riconoscenza della “Spagna più aperta, vogliosa di libertà e modernità dopo 40 anni di giogo franchista, non ha mai dimenticato la coraggiosa scelta di campo…” e così via osannando.

Come le cose siano andate veramente solo la storia potrà forse dirlo, mentre molti dubbi si pongono coloro che vogliono guardare oltre al mito della Moncloa e della costituzione del 1978, perché, a ben guardare, proprio di un mito si tratta. Quattro su sette redattori della costituzione erano stati alti personaggi del regime franchista, come se la costituzione tedesca del 1949 fosse stata redatta da una commissione a maggioranza nazista. Fuori del patto rimasero gli allora disorganizzati indipendentisti ed i sindacalisti anarchici della CNT. Questi ultimi furono messi a tacere dall’attentato al ristorante – sala da ballo Scala di Barcellona, un oscuro episodio di depistaggio e di cattiva giustizia che ricorda molto cose avvenute in Italia, più o meno negli stessi anni.

Difficile dire cosa sarebbe potuto accadere in Spagna se gli antifranchisti, a cominciare dai comunisti, non avessero accettato compromessi con un monarca che aveva solennemente giurato fedeltà agli ideali falangisti e con un primo ministro Adolfo Suarez, che era stato segretario generale del Movimiento, il partito unico al potere con Franco. Oggi il premier Sánchez afferma che i Patti della Moncloa furono molto efficaci per consolidare la democrazia e non tralascia di rilanciarne il mito, ma nessuno può sapere come sarebbero andate le cose se i politici di allora si fossero rifiutati di collaborare con Juan Carlos.

Io ero presente nella Plaza Mayor di Toledo il 29 ottobre del 1973, quando migliaia di falangisti celebravano in quella piazza il quarantesimo anniversario della fondazione della FENS. A scanso di equivoci, non ero lì in regolamentare camicia azzurra, ma semplicemente per visitare la città in compagnia di un’amica. Presupponendo che, dopo il comizio, i falangisti avrebbero occupato tutti i ristoranti della città, ci precipitammo a mangiare, incuranti della loro rievocazione. L’amica, tra l’altro, era figlia di un repubblicano che aveva combattuto nella difesa di Madrid. Una frase, però, mi rimase impressa: “No fué así que habló José Antonio”. L’oratore ufficiale si riferiva al fatto che, lasciando il potere a Juan Carlos, Francisco Franco tradiva gli ideali del fondatore della FENS José Antonio de Rivera, figlio dell’ex dittatore Miguel, fucilato a Valencia dai repubblicani. Erano in molti a temere che con il ritorno di un Borbone a Madrid il falangismo sarebbe finito.

La storia dell’ideologo falangista José Antonio è strettamente legata alla sete di potere di Franco, rimasto solo al comando dei militari ribelli, dopo che, prima l’uno e poi l’altro, i generali Sanjurjo e Mola, capi della rivolta, erano periti in incidenti aerei. Ci fu anche chi disse che magari c’era stata una manina amica a sabotare i velivoli, ma questo non è mai stato dimostrato. Sulla prigionia di José Antonio, Franco costruì il mito dell’Assente, il capo naturale delle destre che non poteva naturalmente partecipare all’avventura. Il generale, però, se ne guardò bene di andare a liberarlo, resistendo anche alle pressioni dei fascisti italiani che volevano attaccare subito Valencia. Con gli incidenti aerei di Sanjurjo e Mola e la fucilazione di Primo de Rivera, l’ex vicecomandante della legione straniera spagnola si trovò magicamente solo al comando dei nazionalisti. Era la stessa persona che, ad ogni città conquistata, inviava un telegramma a Roma a don Juan, figlio di Alfonso XIII, dimenticandosi però di farlo quando i nazionalisti entrarono a Madrid, ponendo fine alla guerra.

C’è chi, in Spagna, dice che gli abitanti della Galizia siano particolarmente furbi. Franco era di El Ferrol, tra il 1938 ed il 1982 chiamata El Ferrol del Caudillo, quindi furbo, stando al luogo comune; ma particolarmente furbo non lo fu, se si pensa che di quello stato che fu la sua creazione ufficialmente non è rimasto nulla; nella nomenclature delle strade, con la cancellazione di tutte le intitolazioni a personaggi del regime; nella memoria storica, per cui oggi la Guerra civile è giudicata solo dal punto di vista di quelli che allora furono gli sconfitti; nella legislazione sui gay, forse la più innovativa d’Europa, malvista dalla Chiesa e dai conservatori. L’ultimo sfregio, l’esumazione della salma del dittatore dall’ossario monumentale del Valle de los Caídos e la sua sepoltura nel cimitero di Mingorrubio, nonostante i suoi familiari avessero chiesto che, in alternativa al sacrario, la salma fosse collocata nella cattedrale dell’Almudena, a Madrid.

articolo pubblicato il: 19/08/2020 ultima modifica: 04/09/2020

Commenta Manda quest'articolo ad un amico Versione
stampabile
Torna a LaFolla.it