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speciale la Spagna ieri, oggi e domani
legittimismo e schioppettate
di Gabriele V. R. Martinelli

L’inimicizia dei catalani per i Borboni ha radici lontane, quando Carlos II Lo Stregato, ultimo degli Asburgo di Spagna, morì senza figli, lasciando suo erede un Borbone di Francia, con un testamento che provocò forti dubbi all’epoca e che, secondo quanto messo in luce recentemente da due studiosi italiani, era completamente falso. Non si capisce, d’altronde, perché un Asburgo avesse voluto lasciare in eredità la sua corona ad una dinastia per secoli nemica. La conseguente guerra di Successione spagnola durò dal 1701 al 1713 e finì con il trattato di Utrecht, anche se la resistenza dei catalani proseguì, terminando con la capitolazione di Barcellona nel 1714 e dell’isola di Mallorca nel 1715.

I catalani non erano così fieramente filoasburgici per una questione di fedeltà dinastica, bensì perché gli Asburgo per secoli avevano garantito un’ampia autonomia a tutti i popoli che appartenevano alla corona. Rivolte che scoppiavano qua e là, sia nei territori iberici che altrove, in Italia come nelle Fiandre, erano sempre legate alle dure condizioni di vita dei poveri e mai mettevano in dubbio la fedeltà agli Asburgo. I Borboni, per tradizione amministrativa, erano accentratori, così che divennero subito antipatici a quelle zone del regno dove l’autonomia per secoli non era stata mai messa in discussione, come l’uso delle lingue locali.

Nel 2017, in seguito al referendum per una repubblica indipendente di Catalogna indetto dalla Generalitat, al di là del discorso se il referendum fosse o meno legittimo, si ebbe una repressione durissima, che ricordava, a chi ne aveva l’età, le cariche della Guardia civil e dei “grigi”, i poliziotti dei tempi di Franco, così soprannominati per il colore della loro divisa. Alla repressione fece seguito, qualche giorno dopo, un duro discorso di Felipe VI che non lasciava il benché minimo spazio a qualsivoglia forma di dialogo.

La storia del legittimismo in Spagna è estremamente complicata, in quanto la diatriba non è terminata con la fine della guerra di Successione e l’avvento dei Borboni, anche se un arciduca d’Austria combatté con i nazionalisti, sperando, chissà, di finire sul trono. Le origini di quello che poi sarà chiamato carlismo risalgono ai primi dell’Ottocento, anche se si deve all’abolizione della legge salica, nel 1830, la prima vera spaccatura della Spagna; fu quando il 29 marzo Ferdinando VII abolì la designazione ad erede di suo fratello don Carlos, stabilendo che a succedergli dovesse essere sua figlia Isabella, poi divenuta Isabella II. Il carlismo ebbe subito due connotazioni, la prima di carattere territoriale, in quanto i suoi sostenitori appartenevano in larga misura alle regioni del Nord, Navarra in testa, ed erano motivati dalla voglia di tornare ad una autonomia regionale che, dopo un secolo dall’arrivo dei Borboni, ancora non si era spenta; la seconda di tipo politico, in quanto tra i carlisti si trovarono in larga parte cattolici tradizionalisti, reazionari generici, antiliberali ed antimassoni. Nacque proprio negli anni della prima guerra carlista la definizione dell’abitante della Navarra, “un animale che, confessato e comunicato, esce dal bosco per ammazzare la gente”.

La seconda particolarità del carlismo sta nel fatto che c’è sempre qualcuno più legittimo degli altri. Per un certo periodo si credette che Franco avrebbe chiamato a Madrid non Juan Carlos, bensì suo cugino Alfonso, anche lui pretendente al trono di Spagna e, per intrecci dinastici, anche a quello di Francia, in contrapposizione agli Orleans. Sia Juan Carlos che Alfonso erano nipoti di Alfonso XIII. Più legittimo, forse, dei nipoti di Alfonso XIII, c’era Carlos Hugo di Borbone, pretendente anche al ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, ma Franco lo cacciò dalla Spagna, in barba al fatto che i carlisti si erano schierati con i generali ribelli nel ’36. Ma, senza tornare agli albori, gli intrecci dinastici, le rinunce al trono fatte e poi rinnegate, le scelte di campo politiche fanno sì che è piuttosto difficile, per i non esperti di araldica, capirci qualcosa. A difendere Porta Pia c’era un ufficiale pontificio che ostentava la sciabola donatagli da Carlo di Borbone, pretendente al trono di Spagna come Carlo VI e a quello di Francia come Carlo XI.

Non si sa perché Francisco Franco non abbia mai appoggiato il carlismo, se perché sperava che, optando per l’ala più liberale della casata, il franchismo si sarebbe amalgamato alla monarchia e non sarebbe finito con lui, o per quale altra oscura ragione, dato l’alto contributo di sangue carlista alla causa nazionalista. Il regime, addirittura, arriverà a proibire che fosse usato il nome Montejurra, il monte simbolo del carlismo. Ne fece le spese anche la casa editrice Montejurra, fondata da Francisco Elías de Tejada, un pacifico professore di diritto naturale, che dovette cambiare il nome in Jurra, nonostante pubblicasse libri in massima parte di storia del Cinque-Seicento, del tutto alieni dalle problematiche politiche dell’epoca.

La montagna di Montejurra fu anche teatro di un oscuro episodio dopo la morte di Franco, nel 1976, quando ci furono disordini tra i seguaci di Carlos Hugo, carlisti di sinistra, e quelli di Sixto Enrique, altro pretendente al trono, carlisti di destra. Non si sa quale titolo, ma quel giorno si trovavano sul Montejurra anche alcuni fascisti italiani e argentini e la giornata, che doveva essere di commemorazione, finì a pistolettate, con morti e feriti.

articolo pubblicato il: 19/08/2020 ultima modifica: 04/09/2020

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