La retorica risorgimentale ha attribuito agli chassepots, i nuovi fucili a retrocarica del corpo di spedizione francese, la disfatta di Mentana. Non fu esattamente così. Garibaldi stava vincendo, malgrado la sua artiglieria si limitasse a due cannoncini "che sembravano cannocchiali" (come scrisse nelle sue memorie), i fucili fossero i soliti catenacci rimediati, le munizioni scarseggiassero e molti volontari si fossero presentati con le scarpe da passeggio. Ciò che mancò a Mentana fu la disciplina; mancò dai comandanti di battaglione all'ultimo ragazzino inesperto aggregatosi per menare le mani. Sempre nelle sue memorie Garibaldi si lamentò di non avere una "polizia di campo" perché certi corpi sono invisi ai volontari. Nemmeno i Mille l'avevano, ufficialmente; c'erano però i Carabinieri liguri di Nino Bixio che tenevano l'ordine. Bixio era il primo a dare l'esempio, non tanto che le frasi retoriche che sono rimaste nei libri, del tipo "quando arriveremo in Sicilia mi impiccherete al primo albero, ma qui a bordo del Lombardo farete ciò che dico", quanto con l'esempio: prese a piattonate in faccia con la sua sciabola due carabinieri riottosi e tirò un piatto di spaghetti addosso ad un caporale.
La disfatta di Mentana non fu opera degli chassepots "che hanno fatto miracoli", come scrisse a Parigi il generale De Failly, né del popolo romano che non insorse (neanche gli abitanti di Monterotondo vollero aprire le porte ai volontari, costringendoli ad un sanguinoso attacco per impadronirsi del borgo), né tantomeno della jella, come dissero molti reduci (la jella l'avrebbe portata la fanfara della colonna Frigésy che aveva suonato "Si schiudon le tombe", conosciuto oggi come "Inno di Garibaldi" ma che al generale non piaceva affatto e non era mai stato suonato sui campi di battaglia garibaldini, solo - come scrisse Anton Giulio Barrili - "nelle città, nei teatri, sulle piazze").
Le cause della disfatta furono altre, ad iniziare dalla propaganda mazziniana, che il 2 novembre fece disertare tremila dei seimila uomini del corpo di spedizione. La propaganda mazziana "perché rovesciare il papato per sostituirvi un governo peggiore?" fece leva soprattutto su coloro che erano alla prima avventura e non sopportavano gli stenti procurati da un'Intendenza priva dei basilari mezzi di sussistenza e pernottamento (la marcia di trasferimento verso Tivoli iniziò solo nel pomeriggio del 3 novembre perché la mattina si erano distribuiti scarponi ed altro a chi ne era privo). Dalle tre alle quattro del pomeriggio i garibaldini vincevano sulla via Nomentana sui francesi e i papalini; sarebbe bastata un'ora in più e all'imbrunire si sarebbero ritirati tutti nel borgo di Mentana. All'improvviso, non si sa da chi messa in giro, circolò la voce, del tutto falsa, che una seconda colonna di francesi stava arrivando alle spalle. A quel punto, escluso alcuni che tentarono di opporsi agli attaccanti, fu un fuggifuggi generale di ragazzi già demoralizzati dalle diserzioni. Un cavaliere recatosi a Monte sant'Angelo a richiamare tre battaglioni che non erano accorsi trovò che si erano sparpagliati per la campagna. Garibaldi, con due compagnie, ordinò un ultimo, vittorioso, attacco alla baionetta in attesa dei rinforzi che non c'erano. A quel punto non rimase altro che dirigersi tutti verso il confine italiano.