Circa cento opere di de Chirico in mostra alla Pinacoteca Provinciale
Durante la sua lunga vita artistica non sempre e non adeguatamente Giorgio de Chirico (Vòlos 1888 - Roma 1975) ha visto la sua opera e la sua ricerca coronate da una incondizionata fortuna critica. Basterebbe ricordare la clamorosa stroncatura che la sua pittura metafisica ebbe da Roberto Longhi, che nel famoso articolo "Al dio ortopedico", del 1919, scriveva: "Ecco le pitture di Giorgio de Chirico rinvenire inaudite divinità nelle sacre vetrine degli ortopedici, ed eternare l'uomo nella lugubre fissazione del manichino d'accademia o di sartoria". Non solo, ma dopo la scomunica dei surrealisti (Breton lo aveva definito "genio perduto"), de Chirico (quello post-metafisico) venne bollato come l'incarnazione di un passato che andava escluso definitivamente dall'arte moderna.
Bisognerà aspettare una dozzina di anni dalla sua morte perché si avviasse un processo di revisione critica della sua gigantesca figura d'artista. Come scrive Vittorio Sgarbi, curatore della importante antologica dedicata al "Pictor Optimus", esposta fino al 9 gennaio nella Pinacoteca Provinciale di Potenza, "nel 1988, una grande mostra antologica al Museo Correr di Venezia 'osò' in qualche modo celebrare il centenario della nascita di un artista - Giorgio de Chirico - che ancora in tanti, in troppi stentavano a riconoscere come il maggiore del Novecento italiano. Non si tratta di un riconoscimento retorico, di un luogo comune: de Chirico ha inventato un modo nuovo di concepire l'arte, dopo un secolo di piacevoli illustrazioni e quattro secoli di grande pittura, senza la necessità di profondi contenuti di pensiero, in fondo sempre interessata a essere una sublime decorazione. In de Chirico la pittura torna a essere un fatto strettamente intellettuale e a descrivere i meccanismi del pensiero, come era stato per esempio in Piero della Francesca".
Realizzata in collaborazione con la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, e fortemente voluta dal Presidente della Provincia di Potenza, Vito Santarsiero, la mostra "Giorgio de Chirico. Dalla Metafisica alla metafisica" , che continua il ciclo di prestigiose esposizioni e variegate iniziative culturali nate dal progetto "Polo della Cultura", documenta (attraverso un'attenta e cospicua selezione di opere (oli, disegni e sculture) l'evoluzione della ricerca dechirichiana dal 1909 al 1973. Che il bel catalogo edito da Marsilio di Venezia, con testi critici di Laura Gavioli e Jole de Sanna e con due scritti inediti dell'artista, aiuta a ripercorrere nelle fasi più salienti e significative.
L'esposizione potentina (suggestivamente allestita grazie al coordinamento tecnico di Enrico Filippucci negli affascinanti spazi della struttura che venne progettata a suo tempo da Marcello Piacentini e Giuseppe Quadroni), mette in evidenza tutte le stagioni dell'arte del Maestro, dalle giovanili composizioni, all'invenzione metafisica, alle successive esperienze di ritorno alla classicità quando i gladiatori, i manichini, i cavalli sulla spiaggia, i miti prendono la fantasia dell'artista e lo conducono verso nuove scoperte che gli consentono di coltivare quegli interessi per la grande pittura del passato e la inesausta curiosità per le tecniche pittoriche. Nel progetto della mostra di Potenza sono compresi i lavori estremamente rappresentativi del percorso creativo di de Chirico, dall'influenza su di lui esercitata da Boecklin e Klinger, al tema del "mito", alla "vita silente" delle nature morte, al ciclo del "ritorno del cavaliere errante", alla "metafisica rivisitata".
Nato in Grecia da genitori italiani, de Chirico studiò dal 1906 a Monaco; a contatto con la cultura tedesca degli inizi del secolo, cui si univa la memoria del mondo classico in forma di ricostruzione scenografica. Nel 1910 a Parigi, fu amico di Valery e di Apollinaire, rimanendo tuttavia estraneo al cubismo e in genere alle avanguardie, nei confronti delle quali manifestò sempre un atteggiamento polemico, teso nella rigorosa ricerca di un linguaggio originale ed autonomo, legando elementi di diversa origine e rappresentando le sue visioni oniriche come evasioni dal fluire del tempo; allo scoppio della guerra, nel 1915, a Ferrara, dove trascorse un periodo di cure per problemi nervosi all'ospedale militare Villa del Seminario, conobbe Carrà, Morandi e il giovane de Pisis: di qui ebbe inizio la "pittura metafisica", della quale tuttavia l'artista si dichiarò ideatore sin dagli anni parigini, e che trovò comunque consapevole e compiuta teorizzazione nella rivista "Valori Plastici" del piacentino Mario Broglio, che proclamava il ritorno alla tradizione della pittura italiana delle origini.
A Parigi, nel '25, partecipò alla prima mostra surrealista; più tardi, ripudiate alcune sue opere, continuò la propria ricerca, caratterizzata, oltre che da una viva coscienza tecnica (che rende omaggio alla tradizione rinascimentale italiana), dal rispetto della tradizione e dalla persistenza di richiami archeologici e barocchi, nonché da un netto rifiuto dell'arte contemporanea. Pur restando quello metafisico il suo periodo creativo più felice ed influente, che ha indicato una strada a cui si sono riallacciati il realismo magico tedesco e il Novecento italiano, oltre che, per alcuni aspetti, surrealisti come Magritte, Tanguy, Ernst e Dalì.
In questa eccezionale mostra (è la seconda mostra di de Chirico nel Mezzogiorno), che ha potuto contare sul prestito di prestigiosi quadri, come - per citarne solo alcuni - "Composizione metafisica" del 1916, "Busto di bagnante" (1930), la bellissima "Battaglia" del 1942, "Ruggero e Angelica" e "Il giudizio di Paride", entrambi del 1946, "Salambò su un cavallo impennato" (1956), "Oreste e Pilade" (1960), "Ettore e Andromaca" e "Il ritorno di Ulisse" dipinti nel 1968, fino a "Mobili e rocce in una stanza", realizzato tre anni prima di morire. Perché, dunque, dalla Metafisica con la emme maiuscola (quella del grande periodo creativo del giovane de Chirico) alla "metafisica" tra virgolette (la produzione dal 1968 in poi), come ci suggerisce il sottotitolo della mostra?
Dice Sgarbi: " L'una è un'epoca, un genere, una stagione, una condizione psicologica già riproposta, ad intervalli, in diversi momenti, talora con ironia, talora con rabbia ... la 'metafisica' degli ultimi anni è pura letteratura, non più pittura". Non ci sono, pertanto, due de Chirico, né c'è soluzione di continuità nella sua pluridecennale ricerca; si vuole anzi sottolineare come anche la sua ultima produzione abbia "adottato metodi modernissimi per riflettere e far riflettere sull'arte".