Per la presa di Roma il Governo italiano non volle correre rischi; il Corpo d'Esercito di Osservazione, comandato dal generale Raffaele Cadorna, era costituito dall'intero IV Corpo d'Armata, forte di cinquantamila uomini su cinque divisioni, una delle quali comandata da Nino Bixio. Alle cinque del mattino del venti settembre le batterie italiane iniziarono a sparare su cinque obiettivi in varie zone della città (Bixio, da Porta San Pancrazio, fingerà di ignorare la bandiera bianca esposta sul tetto dei palazzi apostolici e non ordinerà il cessate il fuoco fin quando qualcuno in Vaticano non penserà di esporre un visibilissimo lenzuolo). La breccia, sulla destra guardando Porta Pia dalla via Nomentana, fu aperta alle dieci circa dai colpi di un cannone campale da 75, dello stesso tipo di quello che per anni ha scandito il mezzogiorno dei romani da Castel sant'Angelo, una tradizione, per ironia della sorte, istituita da Pio IX (interrotta durante la Seconda Guerra Mondiale, è stata ripresa sul Gianicolo nel 1959). Attraverso l'apertura nelle mura si lanciarono i bersaglieri del 12° battaglione, seguiti dai fanti del 39° reggimento. Dietro di loro, i carabinieri incaricati di mantenere l'ordine in città.
Il Papa aveva ordinato che la resistenza fosse solo simbolica, ma, ciononostante, gli uomini delle due compagnie di zuavi, alcuni gendarmi e gli artiglieri addetti agli otto cannoni posti a difesa, urlando "Viva il Papa Re" e cantando l'inno pontificio di Gounod, risposero al fuoco dei bersaglieri, senza curarsi delle disposizioni (altre fonti affermano che l'ordine di non difendere eventuali brecce non fosse pervenuto agli ufficiali subalterni). Pio IX, avvertito mentre era a colloquio con il corpo diplomatico, sciolse immediatamente i soldati dal giuramento di fedeltà, per impedire inutili spargimenti di sangue. La stampa clericale di tutto il mondo ricamò sul fatto che gli zuavi di Porta Pia, a differenza degli altri militari pontifici, furono fatti sfilare per le vie di Roma tra ali di folla ostile e che agli ufficiali fossero tolte sciabole e rivoltelle. Gli stessi giornali affermarono che un ufficiale della sesta compagnia del secondo battaglione zuavi riuscì, protestando vivacemente, a salvare la propria sciabola. Si trattava dell'alfiere Alfonso di Borbone Austria Este e la sciabola era appartenuta a suo nonno, re di Spagna.
Il ventuno settembre l'esercito pontificio venne sciolto; era forte di quasi seimila militari stranieri e circa cinquemila italiani, oltre ad un migliaio di guardie. Pio IX benedì da una finestra su piazza san Pietro i suoi soldati stranieri in partenza per i propri Paesi.