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speciale 500 anni della disfida di Barletta
i cavallier, l'arme e gli... onori
di Luigi Dicuonzo

La fama di Barletta, almeno nei libri di storia patria, è legata alla famosa Disfida che, qui, si disputò, tra tredici cavalieri italiani e altrettanti cavalieri francesi, il 13 Febbraio 1503. La ritualità del torneo cavalleresco è abbastanza nota sia ai cultori delle gesta della cavalleria dei tempi andati, sia ai comuni lettori di romanzi a trama e intreccio storico. Ad ogni buonconto, non appaia segno di pignoleria se ricordiamo che, ogni Disfida, è preceduta da una Sfida. E nonostante che, la parola Disfida, nel corso di questi cinquecento anni, sia finita col diventare quasi sinonimo di Barletta tanto che, i buoni dizionari della lingua italiana, avvertono la necessità di utilizzare la locuzione "la disfida di Barletta" ad esemplificazione calzante ed interpretativa della stessa parola Disfida, è bene rammentare che, Barletta e, più precisamente, la Cantina del Sole o di Veleno, fu luogo e ambiente propizio per la SFIDA.

Nella spartizione dell'Italia meridionale tra Spagnoli e Francesi, la Puglia e la Calabria toccarono alla Spagna di Ferdinando D'Aragona che mandò, infatti, a...risiedere a Barletta il "Gran Capitano" Consalvo da Cordova, mentre Napoli, Abruzzi e territori limitrofi, andarono alla Francia di Luigi XII, Duca di Nemour, poi Re di Napoli, che nominò suo Vice, Luigi d'Armagnac. Negli scontri pressoché quotidiani tra cavalieri delle due potenze, avvenne che, un distaccamento di Spagnoli, comandato da don Diego de Mendoza, coadiuvato da alcuni cavalieri italiani al servizio di Fabrizio Colonna, il 15 gennaio 1503, ebbe la meglio su un drappello di cavalieri francesi diretti verso Canosa. I prigionieri furono condotti a Barletta dove, Consalvo da Cordova, organizzò un banchetto in onore dei cavalieri francesi e del loro valoroso comandante Guy de La Motte, considerati nemici di pieno rispetto, invitando anche i cavalieri italiani. Alla presenza dei convenuti cavalieri spagnoli, francesi e italiani, Don Diego de Mendoza, dismessi i panni di comandante del vittorioso distaccamento, per così dire, ispano - italico, assunse quelli di esperto anfitrione, generoso ed ospitale, dal momento che, la cena, aveva luogo nei vani del piano terra e dello scantinato del suo sontuoso palazzo, requisito ad una nobile famiglia barlettana nel pieno rispetto dell'usanza dell'epoca (e delle giuste e sacrosante esigenze di guerra di tutti i tempi e di ogni genere!), Naturalmente, per non dire inevitabilmente e, fors'anche, provocatoriamente, tra un brindisi e l'altro, la conversazione scivolò sulle modalità dell'ultimo scontro e, don Diego, non fu parco, con le parole e con i gesti, negli elogi delle virtù e del valore dei cavalieri italiani che avevano contribuito notevolmente al suo recente successo personale sui Francesi. Guy de La Motte non gradì che i modesti cavalieri italiani, pavidi, a suo avviso, e "soldati senza fede, vili e traditori", godessero di tanta stima. In forza del generoso nostro vino, il suo astio, il suo disprezzo, i suoi sentimenti di radicata disistima per i cavalieri italiani, congiuntamente al livore per la sconfitta subita da parte dei cavalieri spagnoli, lo spinsero ad usare parole sulle righe. Le offese non ebbero più argini di correttezza né, tanto meno, di circostanza, e divennero vero e proprio oltraggio. Intervenne, nell'accesa e animata discussione, a mettere pepe su sale, il nobile spagnolo don Inigo Lopez d'Ayala, ricordando che, qualche mese prima, tanto per parlare di onore cavalleresco, il cavaliere francese Forment de Castillon, non aveva raccolto la sfida lanciatagli da Ettore Fieramosca. Fu la goccia che fece traboccare il vaso! Guy de La Motte lanciò il guanto della sfida e si dichiarò disposto a battersi in uno scontro tra dieci cavalieri francesi e dieci cavalieri italiani. La supremazia dei primi sarebbe stata riconosciuta e celebrata, ammesso che i cavalieri italiani avessero accettato di misurarsi con quelle modalità, una volta per tutte!

I cronisti, commensali di quella cena, tacciono sulle conclusioni del banchetto e, soprattutto, lasciano alla fantasia dei posteri, briglie sciolte per raffigurarsi il ritorno a casa di quella brava gente iscritta, sin dalla nascita, all'anagrafe del cavalierato di nobiltà o di ventura che sia.

La Storia è più precisa. Nei giorni seguenti, don Inigo Lopez d'Ayala, alimentava l'irritazione dei Colonna in quel di Barletta, tanto che Fabrizio Colonna, rappresentante degli Italiani in quella cena, dette incarico ai cavalieri romani, Brancaleone e Capoccio, di sondare l'umore di La Motte che, di lì a pochi giorni, pagato il riscatto, si recò a Ruvo a raccontare ai suoi l'accaduto. I Francesi avevano eletto a loro campioni, in quei giorni, tredici cavalieri e ritennero che fossero proprio quelli che avrebbero potuto battersi con onore nello scontro con altrettanti cavalieri italiani.

Al ventisettenne cavalier Ettore Fieramosca da Capua, che già, in precedenza, aveva osato lanciare la sfida ai cavalieri francesi, toccò l'onore di capeggiare il gruppo degli italiani accuratamente convocato dai cugini Colonna, intimamente e fortemente convinti di poter aver ragione degli sfidanti e boriosi francesi. Molte indecisioni da parte francese circa il luogo, il giorno, lo stesso numero di contendenti, furono interpretati come tentativi per scongiurare la disfida che, comunque, si tenne, nella piena osservanza del cerimoniale dell'epoca, in campo neutro, su un terreno di circa duecento metri tra Andria e Corato, in territorio di Trani, in quegli anni sotto la giurisdizione di Venezia, quel tredici febbraio dell'anno del Signore millecinquecentotre. Il combattimento durò più o meno un'ora. Tanto, quanto bastò al Fieramosca e ai suoi uomini per disarcionare gli avversari, aver ragione di loro in un furioso corpo a corpo, imprigionarli e condurli a Barletta con il bottino di "cento corone e le spoglie, cioè l'armi e li cavalli" come esplicitamente detto, scritto e concordato nelle intese preventive.

La descrizione dell'esultanza della città, in quella notte di cinquecento anni fa, è bene affidarla al signor Anonimo Autore di veduta, inclinando benevolmente a seguire le ragioni del cuore che lo vorrebbero testimone oculare di tutti gli avvenimenti minuziosamente descritti:

" Essendo sopravvenuta la notte, se ne introrno in Barletta, dove fu fatta tanta dimostratione di letitia, e festa, che non vi rimase campana, che non fosse toccata a segno d'allegrezza, ne pezzo d' artiglieria vi fu, che non fusse stato più d'una volta tirato, di modo che per li tanti suoni, e bombi d'artiglieria, e per li gridi Italia Italia, Spagna Spagna, pareva che quella terra volesse rovinarsi. Li fuochi per le strade, li lumi per ciascuna finestra, le musiche di variati suoni, e canti, che per quella notte fur esercitati, non se potrian per umana lingua narrare a compimento, et in questo camminando, giunsero alla maggior Chiesa, essendo prima venuto il Clero incontro ben in ordine con una pomposa processione, e con una divotissima figura della Madonna, ove smontorno tutti, e fer la debita oratione, rendendo gratie infinite all'Immortal Iddio, et alla gloriosa sua Madre della felice vittoria acquistata. Dipoi rimontati à cavallo, e voltati per altre strade della terra con grandissima festa, ciascuno se n'andò a disarmar, glorioso d'un tanto honore, non senza immortale fama dell'honore, e vigore Italiano".

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